OGGI IN tutto l’Afghanistan è giornata di elezioni: l’attuale presidente, il notabile pasthun Hamid Karzai, concluderà in maggio il secondo mandato quinquennale e – a termini di Costituzione – non è ulteriormente candidabile. Si tratta della terza elezione presidenziale dopo la caduta, nel 2001, del regime dei talebani. Una commissione indipendente afgana, la stessa che si sta occupando delle registrazioni al voto e sorveglierà la regolarità procedurale delle operazioni ai seggi, annuncerà i risultati il prossimo 14 maggio. Nel caso che nessun candidato raggiunga il 50 per cento dei voti, il ballottaggio si terrà il successivo 22 maggio.
Oltre che per gli afgani, queste elezioni sono di grande interesse anche per chi, conclusa l’Isaf, si è impegnato a rimanere in Afghanistan dopo il 2014, sia pure con formule di collaborazione diverse da quella attuale. Noi simo tra questi, a differenza di altri che si sono già ritirati o che, come il Regno Unito, dopo aver dimezzato la propria presenza nel 2013, ha già annunciato di non voler lasciare sul territorio nemmeno un soldato dopo il 2014. Incerta è persino la situazione degli Usa, non essendo stato ancora possibile firmare l’accordo intergovernativo per le basi necessarie alla continuazione del supporto.


IL NOSTRO ministero degli Esteri e quello della Difesa stanno seguendo l’evolversi della situazione con grande attenzione e con tutti gli strumenti a disposizione. Fuori gioco Hamid Karzai, che ha anche fatto ritirare dalla lizza il potente fratello Qayum, sono dati per favoriti l’ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah, pashtun per parte di padre ma di madre tagika, che nella precedente tornata aveva tallonato Karzai molto da vicino, e Ashraf Ghani, di etnia pashtun, già ministro delle Finanze ed ex funzionario della Banca Mondiale. Una potenziale incognita è Zalmai Rassoul, anche lui pashtun, il ministro degli Esteri uscente sostenuto dal clan dei Karzai, ma apprezzato anche dai tagiki: potrebbe essere la carta vincente in un eventuale ballottaggio.
In attesa i talebani, contrari anche alle elezioni come a tutto ciò che non è previsto dalla sharia, in periferia minacciano chi non intende rinunciare al voto e a Kabul assaltano con successo persino il ministero degli Interni.

di Mario Arpino