Di FRANCESCO BIGAZZI

LA PRIMA volta che pensai al miracolo fu quando, una decina di anni fa, lessi sull’agenzia Tass la storia di un maggiore dell’Armata Rossa: durante la liberazione di Cracovia dai nazisti, salvò la vita a un giovane seminarista polacco, proprio colui che, il 16 ottobre 1978, sarebbe diventato il Papa di Roma. La seconda, alcuni anni fa quando, dopo un lungo silenzio, mi fu recapitata a San Pietroburgo una lettera dello stesso maggiore con dentro alcune foto ricordo e la lettera che gli aveva scritto Papa Wojtyla per il suo 85mo compleanno. La sorpresa maggiore è stata quando, nel tentativo di ringraziarlo, telefono a casa sua, nella piccola città industriale di Armavir, vicino a Krasnodar, ai piedi del Caucaso: apprendo che l’ex-maggiore dell’Armata Rossa, Vassili Trofimovic Sirotenko, appassionato di storia antica fino al punto di diventare professore di Storia medievale nell’Università locale, era già morto da almeno un anno.

"QUEGLI occhi! occhi di un’intensità particolare che quando si incontrarono con i miei rimasi turbato, come se tutto intorno a me si illuminasse", mi aveva detto la prima volta che eravamo stati a trovarlo a Armavir per verificare una storia che non può fare a meno di generare stupore. Gli occhi del giovane seminarista, Karol Wojtyla, che ha salvato due volte - la prima quando il suo battaglione lo libera dai nazisti e la seconda quando lo sottrae alle grinfie del KGB - lo seguiranno tutta la vita. L’emozione più grande la proverà quando, nel 1978, osservando la fotografia del nuovo Papa Giovanni Paolo II in un giornale illustrato, gli scappa un urlo: "Sono i suoi! Sono quelli di Karol. Gli stessi occhi neri con quegli straordinari bagliori azzurri".


Il maggiore Sirotenko, al seguito del 59mo corpo d’armata del primo fronte ucraino guidata dal generale Konev, riceve l’ordine di prendere Cracovia senza la copertura dell’aviazione o dell’artiglieria. Stalin ha ormai ricevuto a Yalta la garanzie che la Polonia sarebbe entrata nell’orbita sovietica. L’esercito nazista ormai non oppone più resistenza e in pochi giorni, il 17 gennaio 1945, Cracovia è liberata. Il giorno dopo, il 18 gennaio, il maggiore Sirotenko è impegnato con il suo reparto in una missione delicata: sottrarre ai nazisti una cava di pietra, collegata all’industria chimica Solvay, dove si trova un centinaio di prigionieri polacchi. Il giovane seminarista Karol Wojtyla, che durante la guerra lavorava come operaio alla Solvay, è tra i 18 seminaristi nel gruppo di prigionieri in mano a tedeschi. Gli operai furono lasciati dai sovietici subito dopo la liberazione della cava. Per i 18 seminaristi la situazione era invece molto delicata.

ESISTEVA infatti una direttiva di Stalin "in base alla quale tutti i prigionieri politici o religiosi dovevano essere inviati immediatmente in Urss". Per molti di loro, come è emerso dalle ricerche del Memorial di Mosca e del Centro nomi ritrovati di San Pietroburgo, il trasferimento era solo il preludio per un lungo calvario attraverso i campi dell’ Arcipelago Gulag, che il più delle volte finiva con una morte atroce. "Ancora oggi - tentava di spiegare Vassili Trofimovic - non posso spiegare che cosa mi passò per la mente e che cosa riuscì a illuminarmi, perché considerai quel giovane polacco una persona molto singolare. Di colpo, dopo tanti anni di ferrea disciplina e battaglie, per la prima volta mandai a quel paese i regolamenti, senza stare a pensare che rischiavo moltissimo".


Ignorando i continui richiami del commissario politico A. Lebedev - "Compagno maggiore, che cosa vuol fare con quel seminarista? Ha deciso di ignorare gli ordini di Stalin? La disposizione del 23 agosto 1940 sugli ufficiali, insegnanti e seminaristi polacchi non la convince?", lo ammoniva il commissario -, decise di portare personalmente il giovane Karol e i seminaristi fuori dal campo di prigionia. E lo lasciò andare con una scusa: "Non potevo fucilarlo". La guerra continua ancora per qualche mese, il maggiore Sirotenko segue gli spostamenti del confine sempre avanti, fino ad arrivare a Graz. Torna in patria, nel 1946 si sposa e subito dopo rientra nell’Università dove approfondisce gli studi di storia romana.

L’EX MAGGIORE dell’Armata Rossa scrive libri e insegna l’arte militare, fino a quando nel 1978 ritrova il giovane Karol alla guida della Chiesa cattolica. Non perde tempo e fa di tutto per riallacciare un’amicizia che non ha avuto mai modo di sbocciare. Scopre così che Papa Wojtyla gli era stato sempre riconoscente per quel gesto. Nel 2000, in occasione del suo ottantacinquesimo compleanno, fece pervenire a Armavir un messaggio di auguri. "Nella busta - ricorda Sirotenko - c’era una foto dalla quale mi scrutavano gli stessi occhi neri con riflessi azzurri che avevo visto nel 1945, anno della Vittoria. Nel biglietto era scritto che il Papa pregava sempre per me", Nella lontana Armavir, il vecchio professore guardava la lettera e con emozione mi prometteva: "Vedrai che ti arriverà una copia".
(Ha collaborato Irina Frolova)