IL PREMIER coreano sembra quasi rassegnato a ciò che gli sta accadendo. Uno dei parenti delle vittime del traghetto inabissato lo schiaffeggia. Lui non reagisce. Ci sta che il dolore debba uscir fuori con un grido, con un gesto di ripulsa. O di perdono. Come lo schiaffo che una madre dà all’assassino del figlio, già incappucciato, scalciante, pronto all’impiccagione nella piazza di una cittadina iraniana. Un gesto forte, un viso contratto, le lacrime che vorrebbero uscire, la vendetta che vorrebbe trovare il suo epilogo nella morte del killer. Come la barbarie della Sharia impone, a conferma del fatto che al mondo non siamo tutti uguali. E non giochiamo con le stesse regole. Invece no: lo schiaffo salva il condannato pronto all’ultima invocazione di pietà prima che la sedia gli venga tolta da sotto i piedi.


C’È TANTO dolore, ma anche tanta umanità in questi due gesti così uguali e così diversi che la cronaca ci ha consegnato nelle scorse ore. Ci sono culture e sottoculture agli antipodi. In Corea, il risentimento verso uno Stato colpevole, ammesso che nel caso in questione lo sia, perché tu Stato moderno, efficiente, alla conquista del mondo, non puoi fare morire così centinaia di ragazzi su una bagnarola timonata da uno Schettino bis. Allora, ci saranno le inchieste parlamentari, magari pure delle dimissioni (altrove succede) ma intanto, signor Premier, ti prendi questo schiaffo. In nome del popolo sovrano.

E arrabbiato. In Iran, il gesto meraviglioso di una madre di fronte a un’altra madre. Più forte di leggi oscure, dei drappi neri che coprono i corpi femminili, di quella impalcatura da cantiere di periferia trasformata in capestro di quarta classe, in cui è ancora meno nobile morire. C’è schiaffo e schiaffo. C’è quello che il vescovo dava al cresimando per dargli l’ultima spinta a entrare nel mondo della Chiesa. C’è quello del genitore che sanziona, richiama, punisce. E se esagera (oggi) si becca pure una denuncia. C’è lo schiaffo che rianima, quello che faceva ripartire i vecchi televisori. C’è rabbia e amore in quei gesti e nelle immagini che ce li hanno ricordati. E in un mondo pieno di rabbia, lo schiaffo più bello, non c’è dubbio, è quello d’amore.