GIAMPAOLO PIOLI

A TESSERE la tela anti-cinese ha mandato Caroline Kennedy a Tokyo. Ma tocca a Barack Obama marcare con la sua presenza diretta il ruolo più aggressivo che gli Stati Uniti intendono avere nel Pacifico e in particolare nei confronti di Pechino. Rinviato due volte, questo viaggio in Asia, con tappe in Giappone, Corea del Sud, Malesia e Filippine dove firmerà un nuovo accordo di cooperazione militare già salutato da lacrimogeni e proteste a Manila, per il presidente Usa rappresenta una sfida d’immagine. Vuole costruire al più presto la TPP (Trans Pacific Partnership), un mercato comune dell’Asia per contrastare lo strapotere cinese che si è già fatto sentire con arroganza nelle manovre minacciose proprio sui controlli degli spazi marittimi, ma soprattutto nelle disputa delle ricche isole Senkaku: Tokyo le rivendica seguita dalla Corea del Sud e dal Vietnam, e Washington assicura di volerle proteggere col trattato di sicurezza Usa-Giappone.

E LA CINA? Ricorda alla Casa Bianca che l’interferenza americana è sgradita nelle dispute territoriali tra paesi confinanti, invitando Barack a concentrarsi sulle cose che uniscono l’Asia all’America e non che la dividono. La militarizzazione delle Filippine, come le basi in Australia due anni fa, rappresenta più che un deterrente un accendino per Pechino. Ma Barack non sembra ormai più convinto che il potente presidente Xi possa o voglia fare molto per ridurre al buonsenso la Corea del Nord, vicina a un nuovo test atomico. Certo se i razzi di Pyongyang disturbassero il dialogo asiatico di questi giorni, con la Cina che vede passare l’Air Force One solo a 10.000 metri d’ altezza, anche i rapporti con Pechino rischierebbero di irrigidirsi. Obama non si aspetta l’accordo del secolo, ma l’alleanza transpacifica metterebbe al sicuro sotto l’ombrello Usa il 40% del commercio mondiale. Rassicurare i paesi amici sulla sicurezza senza provocare allarmi militari nei cinesi: missione quasi impossibile, che Pechino bolla come «anacronistica e miope».