di Lorenzo Gallitto
Roma, 5 febbraio 2014 - I cambiamenti climatici sono una realtà con la quale si fa i conti tutti i giorni. Non c'è bisogno di andare in Alaska per  verificare lo scioglimento dei ghiacci. Basta sbirciare fuori dalla finestra per scoprire come gli eventi atmosferici quotidiani diventino sempre più estremi. Le chiamano bombe d'acqua o bombe di neve perché gli effetti di queste manifestazioni violente, sono paragonabili ai disastri provocati dalle esplosioni di ordigni bellici.

E sono i risultati più contingui a noi di mutamenti del clima che, sempre più, accavallano o scambiano le zone geografiche del Pianeta mischiandone le caratteristiche. Questo è quello che noi vediamo e subiamo nel quotidiano. Poi ci sono gli scienziati che lavorano a dimostrare come e quanto abbiamo inciso sulla natura mettendo a rischio la Terra.

Per esempio, la temperatura dell'aria e le precipitazioni invernali hanno cambiato in modo considerevole, negli ultimi 60 anni, la durata e lo spessore dei ghiacci nei laghi artici. I ricercatori hanno scoperto che il ghiaccio si forma sempre più tardi e si scioglie prima, creando una stagione invernale di 24 giorni più breve rispetto al 1950, mentre il suo spessore è inferiore di 38 centimetri.

A fare i conti su consistenza e spessore del ghiaccio artico è una ricerca promossa dall'Agenzia spaziale europea (Esa) e condotta dall'università di Waterloo, in Canada. L'analisi, pubblicata sulla rivista ''The Cryosphere'' dell'Unione europea di geoscenze, ha preso in esame oltre 400 laghi nella regione North Slope dell'Alaska. I ricercatori hanno scoperto che in media nel 2011 i laghi si sono congelati sei giorni dopo e scongelati 18 giorni prima rispetto al 1950. Un mutamento fortemente indicativo.  ''Abbiamo rilevato che lo spessore del ghiaccio si è ridotto enormemente in risposta al riscaldamento climatico della regione'' ha detto l'autrice della ricerca Cristina Surdu. ''Quando abbiamo visto i dati siamo rimasti scioccati da quanto marcato è stato il cambiamento''.

La grande preoccupazione degli esperti è l'accelerazione violenta registrata negli ultimi 20 anni. Se nel 1992 il 62% dei laghi si era ghiacciato fino al letto del lago, nel 2011 la percentuale è scesa al 26%. Se lo spessore di ghiaccio dei laghi artici rappresenta un segnale importante da tenere presente nell'elaborazione di strategie per la conservazione del Pianeta (ancora troppo timide), non è certo l'unico sintomo di una malattia diffusa.

Un altro esempio arriva con il ghiacciaio Jakobshavn che sta muovendo i ghiacci dalla Groenlandia verso gli oceani con una velocità record mai registrata finora. A scoprirlo sono stati gli scienziati della University of Washington e della German Space Agency (Dlr), che hanno pubblicato i risultati delle loro misure sulla rivista The Cryosphere, giornale della European Geosciences Union.

La velocità registrata nell'estate del 2012 è risultata quattro volte superiore a quella toccata durante gli anni Novanta, periodo durante il quale si pensava che fosse la maggiore mai raggiungibile. Il ghiacciaio, nell'estate di due anni fa, ha fatto segnare una velocità record di 17 chilometri all'anno, oltre 46 metri al giorno.

Questo tasso di flusso non ha precedenti: è il più rapido mai registrato per alcun ghiacciaio o "fiume" di ghiaccio in Groenlandia o Antartide di sempre. Questo aumento della velocità, secondo gli scienziati, sta aggiungendo sempre più ghiaccio agli oceani, contribuendo all'innalzamento del livello dei mari.

Naturalmene questo variare del quadro generale porta riflessi consistenti sui particolari. In altri termini,  i cambiamenti legati a fattori climatici hanno effetti sulla biodiversità. Gli animali, nel corso dei millenni, si sono sempre adattati ai mutamenti avvenuti attorno a loro. In questo caso però, si tratta di mutamenti talmente veloci da non consentire l'adeguamento.

Questo è quello che sostiene  il rapporto 'Wildlife in a warming world' redatto dalla federazione ambientalista statunitense National Wildlife Federation, che mette in guardia sulle conseguenze del riscaldamento globale sulla biodiversità. ''I cambiamenti climatici sono la più grande minaccia che la fauna selvatica dovrà affrontare in questo secolo'', si legge nel rapporto. ''Le condizioni climatiche a cui gli animali si sono abituati nel corso di migliaia di anni ora sono in rapida evoluzione, e le conseguenze sono giàù visibili''. Molte specie, infatti, si stanno spostando in zone più fredde, e questo cambiamento sta avvenendo da due a tre volte più velocemente di quanto gli scienziati avevano previsto. Le specie animali rispondono in modo differente ai cambiamenti in atto nelle stagioni, ad esempio all'arrivo anticipato della primavera, o alla mutata frequenza degli eventi estremi.

Secondo la federazione, proprio queste risposte modulate da parte delle specie, possono creare squilibri tra gli animali e le loro fonti di cibo. Allo stesso tempo, gli animali si spostano in cerca di habitat più freddi a velocità diverse, creando interazioni tra specie che finora non hanno mai ''coabitato'' e che potrebbero entrare in competizione. Il rimescolare le carte della natura, dicono gli scienziati, non è detto che abbia sempre effetti positivi.  ''Esistono già prove che i cambiamenti climatici stanno causando una riduzione delle popolazioni di animali, nonché alcune estinzioni localizzate. Quante specie si estingueranno – conclude il rapporto – dipende da quanto il pianeta si riscalderà nei prossimi decenni, con numeri più elevati quanto più alto sarà l'aumento delle temperature''.

Terra, ultimo appello. Lo dicono i ricercatori che studiano i ghiacci all'Artico, gli scienziati che seguono lo spostamento degli iceberg in Groenlandia, lo urlano gli studiosi che si occupano di biodiversità. E' ora di muoversi, non c'è più un secondo da perdere.
Lorenzo Gallitto
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