New York, 24 aprile 2014  - Un grosso scimpanzé tenuto in cattività, un umano e un dubbio: uno scimpanzé può fare causa al suo padrone? Se lo chiede il New York Times, che in un lungo articolo ripercorre le tappe della storia di Tommy, il primate costretto a vivere tutta la vita prigioniero in una gabbia a Gloversville, nello stato di New York.

L'avvocato Steven Wise, il gruppo per i diritti degli animali Nonhuman Rights Project (Nhrp) e l'esperta legale Elizabeth Stein, hanno presentato un procedimento davanti alla Corte Suprema della contea di Fultom chiedendo che il loro 'assistito' venga riconosciuto come una persona giuridica, e per questo si ponga fine alla sua 'prigionia'.

La questione è delicata. In un documento di 106 pagine, è stato riassunto un resoconto dettagliato dell'isolamento "in una piccola e umida gabbia di cemento dove è confinato Tommy". Una storia venuta fuori già diversi mesi fa e che ha fatto molto discutere negli Stati Uniti.

Il movimento Nonhuman Rights Project sta lavorando da anni al progetto: l'obiettivo del gruppo, che si appella al principio dell''habeas corpus', è quello di chiedere la fine dello stato di cattività degli animali per considerarli persone giuridiche come gli esseri umani. Non è una differenza da poco visto che allo stato attuale, in quasi tutti i Paesi del mondo, gli animali vengono assimilati alle cose.

Secondo l'organizzazione infatti, il mantenimento in cattività di animali con abilità cognitive avanzate come gli scimpanzé equivale alla schiavitù. "Come gli esseri umani - si legge ancora nel documento - gli scimpanzé soffrono per non essere in grado di soddisfare le loro esigenze o di muoversi come vogliono". Quello che Tommy forse non sa è di essere entrato nella storia come il primo primate che ha citato in giudizio un essere umano nel tentativo di conquistare la propria libertà.  Ma forse la cosa potrebbe interessarlo di meno. Quello a cui tiene è ritrovare una vita dignitosa che sin qui gli è stata negata.
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