Roma, 12 settembre 2014 - In tutto sono un centinaio, ma forse non ci arrivano nemmeno,  gli orsi presenti attualmente in Italia e la popolazione delle Alpi centro-orientali può contare su 50 esemplari. E' la valutazione del Corpo Forestale dello Stato sulla popolazione di plantigradi italiana. Una valutazione che, in queste ore drammatiche, si affianca alla preoccupazione per la sopravvivenza dei cuccioli di orsa privati dell’assistenza della madre nella ricerca del cibo, nella scelta dei luoghi di rifugio e nella difesa da possibili minacce e da eventuali predatori. 

Lo spiega chiaramente Daniele Zovi, Comandante Regionale del Veneto del Corpo forestale dello Stato. “In particolare, i cuccioli di orso nascono tra gennaio e febbraio nella tana usata durante il letargo. Nascono due o tre piccoli, solo raramente quattro. I piccoli sono inetti, pesano alla nascita 300-400 grammi, hanno gli occhi chiusi e sono privi di pelo. Crescono rapidamente fino ad arrivare al peso di 10 chilogrammi a giugno. I cuccioli rimangono con la madre per un periodo molto lungo, da 24 a 36 mesi e dalla madre imparano tutto: dove trovare il cibo, cosa mangiare, dove nascondersi, come individuare la tana per l'inverno, di chi aver paura. Solo dopo i due - tre anni se ne vanno per il mondo da soli.

“I cuccioli di Daniza – continua Daniele Zovi - hanno ora circa sette mesi e ci sono solo pochissimi casi simili a questo presi in esame. In taluni casi i cuccioli sono sopravvissuti all'inverno, in altri sono morti. Di certo se la regola della specie prevede questa lunga convivenza con la madre, gli orfani sono decisamente svantaggiati nella lotta per la sopravvivenza. La montagna trentina è molto severa, specie in inverno!” “I ricercatori svedesi e croati concordano nel ritenere non opportuno catturare i cuccioli, che rimarrebbero condizionati negativamente dal contatto con l'uomo. Secondo quanto dichiarato dalla Provincia di Trento, uno dei due cuccioli è stato catturato, munito di un apparato radio e liberato e potrà quindi essere seguito negli spostamenti.”

Animale per sua natura schivo e di indole poco aggressiva, l’orso viene studiato e monitorato dal Corpo forestale dello Stato, che tenta di arginare il rischio di estinzione e contribuisce alla sua sopravvivenza grazie al mantenimento dell'habitat naturale nel quale vive, principalmente l’Appennino e le Alpi Orientali.

Nell'area alpina l'orso è presente con una popolazione di circa 50 individui tutti derivanti dalla reintroduzione effettuata tra il 1999 ed il 2000 con il progetto Life Ursus grazie al quale l’orso bruno è stato reintrodotto nelle Alpi centro-orientali. Questa popolazione ha il grande vantaggio di essere “fisicamente” collegata con quella dell’Europa centro-orientale, ed in particolare con quella Slovena, da cui sono arrivati, non di rado, dei soggetti in dispersione che hanno frequentato il territorio italiano. Il più famoso è l’orso Dino, M5 in termini scientifici, che dalla Slovenia arrivò fino in Lombardia per poi tornare a casa, dopo essere stato catturato per l’apposizione di un radio collare ed essersi fatto sentire sull’altopiano di Asiago per le predazioni a carico di animali domestici lasciati incustoditi al pascolo.

L’attuale popolazione delle Alpi centro-orientali conta circa 50 soggetti, anche se i dati devono essere confermati in relazione alle nascite del 2014, e dimostra un trend positivo di una popolazione che ormai occupa stabilmente un areale piuttosto esteso che, pur mantenendo la sua area nel Trentino orientale, si estende verso est in Veneto ed in parte nel Friuli (dove si segnalano esemplari che sconfinano dalla Slovenia) e verso ovest nel settore alpino e prealpino della Lombardia. In quest’ultima area ci sono state segnalazioni rilevate nel 2013, anche se il territorio abitualmente frequentato è quello dell’alta Valtellina (con le incursioni in territorio svizzero che non di rado hanno provocato problemi anche rilevanti a seguito di alcuni danni provocati da esemplari un pò più vivaci poi, purtroppo, abbattuti come nel caso dell’orso M13) – delle Alpi e Prealpi bresciane (Val Camonica, Val Trompia e alto Garda bresciano) e quello delle Alpi Orobie bergamasche.

L’Italia ha creduto molto nel ritorno dell’orso nel territorio alpino puntando su ben  cinque progetti mirati e investimenti a 360 gradi che hanno coinvolto i vari territori con progetti LIFE, finanziati dall’Unione Europea, sottolinea il Corpo Forestale dello Stato.

Poi c'è l'Orso bruno marsicano. Appartiene alla grande famiglia degli orsi bruni che in epoca relativamente recente si è isolata dal resto della popolazione a causa della persecuzione dell’uomo, che ha causato l’estinzione della specie nella gran parte dell’Europa occidentale. L’Orso bruno marsicano, considerata a tutti gli effetti una sottospecie dell’orso bruno, è sopravvissuta anche grazie ad un particolare regime di tutela che l’Italia assicurò alla specie fin dal 1924 con una legge che ne vietava la caccia e l’uccisione, contrariamente a quanto accade altrove o al lupo. Anche per queste ragioni, nel corso degli ultimi decenni la popolazione è stata – ed è - oggetto di grandi attenzioni, finalizzate ad assicurare la sopravvivenza di una popolazione unica che ormai conta una cinquantina di individui, con un range di 47-53 individui, stimato in base al monitoraggio genetico avviato a partire dalla metà degli anni ’90 grazie ad un progetto Life  condotto per la prima volta dal Corpo forestale dello Stato.

Tale attività, poi attuata in tutto il resto del territorio, è stata successivamente affinata e ripetuta nel corso degli anni consentendo di individuare un numero costante di soggetti, che nell’ambito del monitoraggio del 2011, svolto col Progetto Life ARCTOS, ha segnato anche un leggero aumento rispetto ai dati precedenti. Tuttavia, proprio le particolarità della popolazione ed il suo isolamento, rendono l’orso marsicano, molto più delicato e meritevole di attenzione al fine di scongiurare il pericolo dell’estinzione. Per questo e anche per la maggiore sensibilità che le popolazioni locali hanno acquisito nel corso degli anni, si moltiplicano gli sforzi da parte di enti e ONG per ridurre le numerose minacce che comportano un alto tasso di mortalità di origine antropica. In tal senso, preoccupano molto gli ultimi episodi di morte legati anche a patologie trasmesse da animali domestici (in particolare la tubercolosi bovina) oltre agli investimenti stradali e ad un caso di bracconaggio ed uccisione con arma da fuoco da parte di soggetti senza scrupoli.

Il Corpo forestale dello Stato, unitamente agli altri soggetti istituzionalmente interessati – in primis il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise – sta moltiplicando gli sforzi sia in termini di controllo del territorio che di contrasto alle cause di mortalità illegale come l’uso di esche e bocconi avvelenati contro i quali, grazie ad un progetto Life del Parco nazionale del Gran Sasso, sono state istituite delle speciali unità cinofile antiveleno. Inoltre, grazie ad un nuovo progetto appena finanziato dall’Unione Europea aumenterà il numero dei cani specializzati nella tutela di orsi e lupi bersagliati da soggetti senza alcuno scrupolo.

Di grande rilievo anche lo sforzo per coordinare tutte le forze preposte alla sorveglianza del territorio in attuazione di uno specifico mandato del PATOM, Piano di Azione per la tutela dell’orso bruno marsicano, voluto dal Ministero dell’Ambiente e sottoscritto dal Corpo forestale dello Stato insieme a regioni, province, ONG e tanti altri enti interessati alla tutela della specie.

Nonostante le grandi difficoltà la popolazione di orso marsicano resta vitale, registrando anche quest’anno un discreto numero di nascite, non meno di 9 orsetti nati da 4 femmine con una super mamma che ne ha partoriti 3, oltre alla presenza abbastanza stabile di un discreto numero di soggetti  anche in aree lontane dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise come la Majella.
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