Roma, 14 settembre 2014 - C'è la mano dell'uomo dietro lo spiaggiamento dei capodogli a Vasto, in provincia di Chieti. Probabilmente gli animali sono risaliti a galla troppo in fretta, magari spaventati dai rumori che i fondali riecheggiano. In questo modo i capodogli potrebbero aver perso l'orientamento finendo nei bassi fondali della costa. Dei sette cetacei, 4 hanno ripreso il largo, tre sono morti.

Sulle tre carcasse l'esame necroscopico ha rivelato presenza di gas nei vasi sanguigni. Bolle che potrebbero essere una probabile conseguenza - secondo la tesi avanzata da Vincenzo Olivieri del Centro studi cetacei onlus - "di una riemersione troppo rapida, la cui causa potrebbe essere un trauma improvviso come quelli provocati dalle attività di prospezione con tecnica air-gun". "Questo trauma - è ancora la tesi di Olivieri - porta i cetacei a una riemersione non corretta, la cui conseguenza è la permanenza di gas nei vasi sanguigni. E' simile a ciò che accade ai sub colpiti da embolia in seguito a una mancata decompressione".

In 60 hanno lavorato sulle carcasse. Una maxi-equipe coordinata da Sandro Mazzariol, del Cert (Cetacean stranding Emergency Response Team) dell'università di Padova, nato dopo lo spiaggiamento di massa sul Gargano del dicembre del 2009 quando a morire furono 7 capodogli.
Nel caso di Vasto si pensa alla piattaforma petrolifera situata in Adriatico e dalla quale potrebbero essere partiti i rumori all'origine dello spiaggiamento.
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