{{IMG_SX}}Bologna, 28 marzo 2008 - All'immancabile domanda che tutti gli artisti stranieri si sentono rivolgere alla fine di un'intervista, è molto dolce ascoltare Mafalda Arnauth, voce nuova del fado tra quelle che si cominciano a conoscere di più fuori dai confini del Portogallo, rispondere canticchiando “Non ho l'età”. Lei, trentatreenne, non era neppure nata, ma la sua famiglia le ha tramandato con Amalia e Marceneiro un po' di musica italiana, quella più popolare che la radio trasmetteva a più non posso, e le ha fatto ascoltare proprio la Cinquetti, di cui ricorda anche – cosa che non tutti gli italiani sanno - che ha pure vinto l'Eurofestival. E per completare il quadro di alcune conoscenze un po' strane, ecco quella di Claudio Mattone, un musicista straordinario, ma non certo conosciutissimo, che lei ha avuto l'onore di incontrare, così come Lucio Dalla, che ammira molto (e qui la scelta è un poco più logica). Per concludere questa introduzione venata di italianità, un doveroso ringraziamento di Mafalda va Zizi Possi, cantante brasiliana di origini italiane – un po' partenopee e un po' toscane – che ha inciso più di un cd con musiche della sua patria di origine e che canta la musica napoletana come chi è sempre stato sotto il Vesuvio.

 

Ma veniamo al motivo che porta Mafalda alle cronache di casa nostra: la cantante – nata a Lisbona il 4 ottobre 1974 – sarà in Italia per tre concerti: il 30 marzo, domenica, per il festival Jazz Groove all'auditorium del Centro culturale Candiani a Mestre (ore 21); lunedì 31 marzo al teatro Puccini di Firenze (ore 21,15); martedì 1° aprile al teatro Studio dell'Auditorium Parco della Musica di Roma (ore 21). Tre concerti attesi durante i quali la Arnauth presenterà il suo quinto album che finalmente esce anche in Italia: “Diario”, un percorso attraverso le radici di questa musica, ma attualizzato dai testi che sono quasi tutti della stessa Mafalda nel solco di una tradizione del “nuovo fado” che vede i protagonisti attualizzare i temi delle liriche. Non più solo amore disperato o famiglie distrutte dalle morti in mare, ma temi attuali, di vita quotidiana, di società, di amore “buono”.

 

E poi, cosa che i nuovi artisti del fado cercano con sempre maggiore insistenza, la voglia di allargare i propri confini, le proprie conoscenze, le proprie relazioni artistiche: viene facile per i lusitani col Brasile (e Mafalda adora Chico Buarque e Caetano Veloso e omaggia in questo cd Maria Bethania, Vinicius de Moraes e Tom Jobim), ma anche con l'Argentina di Piazzolla o la Francia di Aznavour. E ovviamente con le proprie stesse origini, con la grande Amalia Rodrigues e l'omaggio attraverso lo straordinario brano di Alberto Janes “Foi Deus”. Un disco bello, indubbiamente, che può essere un testimonial importante per un genere musicale, il fado, che resiste ed esiste al di là di ogni moda perché è vivo e vero.

 

“E io mi sento naturalmente fadista – racconta Mafalda -, anche se avrei dovuto fare tutta un'altra cosa nella mia vita. Studiavo veterinaria, ma a una festa accademica decisero di farmi provare a cantare. Io ci stetti e mi preparai per un fado. In casa sentivo quello, fa parte della nostra vita, cresciamo, a Lisbona, col fado. Studiai bene la canzone e, visto che sono comunque intonata e che in casa mi divertivo a canticchiare, la prova andò bene. Quella festa è stata la svolta della mia vita, da allora il fado è cresciuto in me. E io l'ho voluto vestire della mia sincerità, della mia storia, della mia umiltà. Non ho voluto copiare le altre cantanti, anche se, ovviamente, da loro qualcosa ho preso”.

 

Quando racconta la sua crescita artistica Mafalda si carica, l'adrenalina sale in lei, ma è molto modesta, non si vende per quello che non vuole essere. E non ama fare la replicante del passato. Per questo scrive spesso i testi che poi musica o fa musicare. “Ma non chiamatemi poetessa – si schermisce -, sono le mie emozioni. Con me voglio essere severa, onesta, trasparente: in una parola reale. Anche quando vado a cercare altre influenze, ma cerco sempre di non dimenticare la mia radice portoghese, magari facendola vestire un poco dei luoghi e delle musiche che amo. Ma senza mai tradire il fado, che per me è una vera e propria terapia”.

 

Non solo la lezione di Amalia, anzi: non quella. “Chi canta fado ha sempre davanti a sé l'immagine della divina, e non può essere altrimenti – spiega la Arnauth -. Ma il mio desiderio è quello di resistere e di non diventare una delle 'nuove' Amalia. Non mi interessa. Ho sempre cercato di non incidere canzoni che Amalia aveva reso note e che non si possono cantare meglio di quanto abbia fatto lei. Ma con 'Foi Deus' non ho resistito, è un brano che mi è entrato nella pelle e che ho dovuto raccontare nel mio 'Diario'. Ma mi sono guardata bene dall'assomigliare ad Amalia. Certo, come lei non c'era nessuna, ma a me piace anche confrontarmi con la lezione di altre grandi fadiste: Herminia Silva, Lucilla Do Carmo, Maria Teresa de Noronha, fino ad Argentina Santos, che è rimasta con Celeste Rodrigues l'ultima protagonista della vecchia generazione nelle case di fado. Io ci metto il mio perché questa tradizione non muoia, ma anzi si rinnovi”.

 

E proprio questo è un dato molto significativo: il fado, la cui tradizione nasce nella prima metà del diciannovesimo secolo, dato molte volte per morto e sepolto, confinato per anni in taverne nelle parti più decadenti della città di Lisbona, mai come adesso è in voga e richiama non solo turisti nei luoghi deputati al mito, ma appassionati da ogniddove per questa musica “etnica” che racconta bene la storia di un paese che è stato molto chiuso in se stesso, ma che ha affrontato il mare come nessun altro popolo ha fatto dominando per secoli oltre gli Oceani. Nella musica di Mafalda questo a volte si sente, ma lei ha una visione più moderna per quel che riguarda i testi, romantica e appassionata com’è, con una voce melodiosa e che sta via via impressionando un po’ tutti, puristi e no. “Il fado ‘acontece’ – dice, calcando su quella parola, ‘accade’, che è un po’ il leit motiv di chi si avvicina al fado -. Sono fadista dentro, abbiamo grande senso delle nostre radici e penso anche che la nostra lingua ci aiuti in questo. E’ una lingua musicale che si accompagna bene alla voce, agli strumenti. E’ una lingua molto speciale: sembra fatta apposta per raccontare le cose dell’anima”.

 

Mafalda, come detto, torna a parlarci di sé e di Lisbona e delle sue influenze artistiche e del suo fado come terapia in queste serate italiane. Venne la prima volta grazie alla benemerita associazione Sete Sois Sete Luas, poi è tornata e sta facendosi apprezzare. Mentre in Italia esce “Diario”, fra maggio e settembre uscirà in Portogallo il suo nuovo cd, “Flor de Fado”, che si intitola come la tournée in corso, anche questo un atto d’amore verso la “sua” musica. Ad accompagnarla in questi concerti ci sono Paulo Perreira alla guitarra portuguesa, Luis Pontes alla viola da fado, Fernando Costa al basso. In alcuni brani del prossimo album, ci sarà anche il violoncello del nostro Davide Zaccaria, il quarantenne musicista milanese trasferitosi da sette anni a Lisbona e ormai abituato ad accompagnare i grandi artisti portoghesi, da Dulce Pontes a Paulo De Carvalho a Mariza a Jorge Fernando e Custodio Castelo. “Ho scelto il violoncello perché è uno strumento molto complice della mia voce, si sposano molto bene – spiega Mafalda -, lo ritengo dolce e appassionato com’è la musica che amo”. Provare per credere.

 

Sito ufficiale di Mafalda Arnauth: www.mafaldarnauth.com