{{IMG_SX}}Bologna, 14 aprile 2008 - Una lunga tournée per i Pooh all'insegna del cd “Beat ReGeneration”, la riproposizione di dodici brani degli anni Sessanta riarrangiati alla moda dle gruppo più longevo che esista, gli ultimi 35 senza cambiare formazione). Ne parliamo con Dodi Battaglia, cantante e chitarrista, dal 1968 nella compagnia.

Dodi, come va la tournée?
“Uno splendore. Il primo dato è la grandissima affluenza di pubblico, che fa sempre bene. E' un bel tour che viene da un disco scommessa: siamo abbastanza soliti e bravi a fare i Pooh, questa volta abbiamo voluto compiere un itinerario diverso che si può fare visto la quarantennale amicizia e comunione di intenti che abbiamo”.


“Beat ReGeneration” è un omaggio agli anni Sessanta?
“Un tributo, ma in salsa Pooh; un omaggio alla più grande rivoluzione musicali che c'è stata, a tutti quei gruppi che hanno iniziato in quel periodo e che non hanno avuto la nostra fortuna. Noi ce l’abbiamo messa tutta, siamo stati coriacei, abbiamo avuto la grande fortuna di essere riusciti a sopravvivere a tante rivoluzioni”.

Ma dal vostro punto di vista della vostra carriera, come si può definire questo cd?
“Un esperimento fatto dopo 40 anni di carriera. Una sfida: avremmo faticato meno a fare l'ennesimo disco bello e di successo dei Pooh. E quindi un po' ci siamo messi in discussione, almeno inizialmente”.

Risultato?
“Qualcuno all'inizio ha arricciato il naso, anche perché il nostro è un sistema che spesso disconosce le cose belle degli altri per qualcosa di nuovo e non dello stesso spessore. Poi la gente lo ha capito ed è stato ben recepito. Dalla tournée traspare: siamo molto motivati e la musica è bella”.


Sinceramente, com'è l'accoglienza del pubblico?
“La gente accoglie con grande entusiasmo i nuovi brani rigenerati, ma quando arrivano i grandi successi dei Pooh non ce n’è per nessuno. E anche per questi abbiamo usato altre rigenerazioni...”.

In che senso?
“Facciamo un salto nel passato con alcuni brani riarrangiati per riportare ai giorni nostri brani degli anni '70, brani che ci hanno dato molte soddisfazioni. La nostra ricerca musicale non si ferma”.


Come cambia il vostro pubblico?
“Una volta c'era il grande fenomeno del divismo, la gente ti saltava addosso, bisognava girare con scorta e servizio d’ordine. Ora c'è più educazione e più che il fanatismo vogliamo fare trasparire l'immagine bella e positiva di quello che abbiamo fatto, fare sentire tutti nostri fratelli. Oltre a questo, diciamo che il nostro pubblico accoglie di tutto: è trasversale, dall'ultracinquantenne fino al quindicenne perché diamo credibilità e rispetto. Spesso i genitori portano i figli a vedere i concerti, un amore per i Pooh che si tramanda di generazione in generazione. E ogni nostro nuovo disco è un’occasione per conquistare un nuovo pubblico”.

Anche questo di cover?
“Certo, anche perché poi la gente ha scoperto brani sconvolgenti e importanti. Sul giro di accordi di 'La casa del sole' dei Bisonti penso si siano fatte mille canzoni”.


E' più difficile scrivere adesso un brano “importante”?
“Sono senz'altro anni più vuoti. Manca un grande big bang musicale e sociale, quindi facciamo cose che hanno una radice proprio in quegli anni di grande cambiamento”.

 

Che emozione è stata per lei cantare a Sanremo dov'era in gara suo figlio?
“Grandissima, anche perché ero felice che Daniele fosse stato accettato fra migliaia di giovani. Aveva una canzone bellissima e impegnativa e l'emozione l'ha tradito e quindi non è andato in finale, ma va bene così. D'altronde è un palcoscenico sul quale, quando si accendono le lucine rosse, anche i miti possono crollare. Riserva sorprese a ben più navigati artisti, figuriamoci a un ragazzo al debutto. Noi comunque eravamo lì a rappresentare la musica italiana, certo mi sarebbe piaciuto che mio figlio arrivasse alla finale, comunque si tratta pur sempre di un importante trampolino di lancio”.

Come giudica Daniele?
“Delizioso, garbato, simpatico, ha vocalità e musicalità. Sta studiando forte e spero questo gli porti bene. Io non devo aiutarlo: ho scoperto le sue qualità tramite la radio, non l'ho punzecchiato per fargli fare carriera e accanto a lui deve avere il suo produttore, non il padre...”.


Quindi non si vede in duetto con lui, magari a Sanremo, come ha fatto il suo amico Roby Facchinetti col figlio Francesco...
“Sinceramente non ne vedo a oggi la motivazione, non è miei progetti e neppure in quelli di mio figlio. Io ho 56 anni, lui 26: avrei la paura a invecchiare la proposta di un ragazzo e lui avrebbe il problema di rendere sbarazzina la mia proposta. Sarebbe un fardello da portarsi dietro”.


Torniamo ai Pooh: chi ve lo fa fare di stare ancora sul palco, come vi viene la voglia?
“Quella di essersi resi conto di avere fatto un sogno bellissimo, lungimirante; di essere rimasti uniti, amici, compatti, e di portare avanti la nostra musica; da un po’ di tempo ci siamo resi conto che grazie al sogno, alla passione, ai sacrifici il nostro è quasi orgoglio di bandiera: abbiamo un’azienda, abbiamo fatto un marchio, dobbiamo portarlo avanti in modo bello”.

Il sogno, però, è già realtà...
“Vero, ma siccome è così grande, noi stessi siamo curiosi di vedere dove va a finire”.

Bene, vero?
“Sì, il nostro è un fortissimo spaccato di italianità, veniamo da quattro culture diverse e abbracciamo tutta l'Italia”.

Ha un suo progetto personale, oltre ai Pooh?
“Qualche anno fa ho fatto un album completamente strumentale: dopo che hai fatto il boom puoi permetterti di divertirti e fare esperimenti”.

Progetti dei Pooh?
“Se dessimo retta alla gente dovremmo fare altri quindici cd di canzoni rigenerate, ma io penso che poi stancheremmo. Penso che bisogna puntare a cose sempre nuove. Per esempio 'Pinocchio' è stata una cosa che ci è molto piaciuto fare. L'importante è metterci sempre passione”.

E poi diciamocelo: i Pooh dal vivo sono tutta un'altra cosa rispetto a quelli dei dischi...
“Sì, è vero: siamo fatti per suonare dal vivo, la sala d’incisione ci sta strettina, è asettica; noi siamo come i Rolling Stones, che devono salire su un palco. Il nostro approccio musicale è nato nei locali. Facciamo quasi un centinaio di serate l'anno di media. Sì, è proprio così: live è un’altra roba”.

 

PER INFO: www.pooh.it