{{IMG_SX}}Bologna, 27 maggio 2008 -Il maestrone ride pensando all’estate. "Devo mettere in acqua la canoa al bacino di Suviana — dice —. È la quarta che compro. Giuro: se mi rubano anche questa, smetto". Per ora, come tutta Italia sa grazie alle gag radiofoniche di Fiorello, ha solo smesso di fumare. Ma la creatività, checché scherzi il Fiore, non sembra aver subito contraccolpi. Francesco Guccini ha appena mandato in libreria il suo nuovo libro (Icaro, Mondadori) da solista, ovvero senza Loriano Macchiavelli, e aspetta la data del 20 giugno per mettere a punto il prossimo tour autunnale nei palasport. Quella sera scenderà da Pavana, il suo rifugio sull’Appennino tosco-emiliano, per pochi chilometri a valle: a Porretta, nel campo sportivo, si esibirà in quella che si annuncia l’unica data estiva. "Quando fa caldo — spiega — in genere non lavoro. Ma adesso bisogna rifare la scaletta di ottobre e provare un paio di pezzi nuovi".
Allora, Guccini, si avvicina il tanto atteso disco?
"No, proprio no. Per ora ho solo tre canzoni fresche. Due le faccio in concerto: 'Su in collina', la versione italiana di una poesia bolognese di Gastone Vandelli dedicata alla guerra partigiana, e 'Il testamento del pagliaccio', una satira dell’Italia di oggi".

Va bene se la definiamo una visione apocalittica della società?
"Per niente. È uno sguardo leggero e ironico sul nostro Paese. Il pagliaccio del titolo è uno sconfitto dalla vita, uno di noi. Parlo con schiettezza di problemi quotidiani".

Perché non fa anche il terzo pezzo live?
"Perché vado lento nella preparazione del cd e non appena uno fa una canzone in pubblico finisce su Internet. Preferisco aspettare. Quel brano, poi, contiene una serie di considerazioni notturne nate dalla tranquillità di Pavana. Non c’è fretta".

Dal suo eremo montanaro, come vede la situazione del Paese?
"Mi sembra che ci sia troppa melassa in giro. Credo che si debba stare attenti. Io non sono eroico, ho le mie idee. La coerenza è un merito, ma a me non costa fatica".

Qualche tempo fa anche lei sembrava essere rimasto imprigionato nella trappola del riflusso.
"Una rivista mi ha chiesto se io nel ’68 leggevo Marx e Marcuse e io con grande onestà ho detto di no. Certo, li ho studiati ma, quanto a letture, c’è molto di meglio del Capitale".

C’è per esempio il suo nuovo libro...
"È molto diverso dai miei tre volumi precedenti, 'Croniche epifàniche', 'Vacca di un cane' e 'Cittanova blues'. Lì c’era un linguaggio particolare, familiare, con una parte finale molto gergale. Giocavo in maniera violenta sulla sintassi. Questi, invece, sono sei racconti in italiano scritti nell’arco di quarant’anni".

Il filo rosso che li lega sembra essere il clima esotico.
"Ambiento le storie in Brasile, Argentina, Mauritius, tutti posti che ho visitato da turista. Mi piaceva entrare nella psicologia di quei luoghi e dei suoi abitanti. In realtà ho collocato una vicenda anche nella periferia di Bologna e una sull’Appennino".

Paolo Conte dice che la canzone è un atto unico. Per lei la canzone vale un racconto?
"No, la pagina si diluisce, la canzone sintetizza. Molti mi dicono che il racconto che dà il titolo al libro, Icaro appunto, e che è la storia di un bambino e di un vecchio che vuole volare, potrebbe essere una canzone. Ma io non saprei come tradurla".

Ci sono riferimenti letterari nella sua scrittura?
"Beh, dietro 'Croniche epifàniche' c’erano Meneghello e Gadda. Qui non vedo riferimenti diretti se non echi delle letture che faccio abitualmente. Adesso ho sul comodino Pete Dexter e Corman McCarthy, quello di Non è un paese per vecchi".

E con Macchiavelli è finito il sodalizio?
"Assolutamente no. Ci dobbiamo vedere in questi giorni per capire cosa fare. Non possiamo più usare un personaggio invecchiato come Santovito a meno che non lo facciamo tornare indietro nel tempo come in Tango e gli altri. Ci inventeremo qualcos’altro".

Ma lei è un metodico della scrittura come lo era, ad esempio, Moravia?
"Scrivo come e quando mi pare. Ad esempio, ero partito a razzo per un romanzo breve incentrato sulla storia dei contrabbandieri dell’Ottocento. Poi mi sono accorto di non sapere nulla dei muli e ho iniziato a documentarmi. Così, per colpa di un mulo, adesso sono fermo".