{{IMG_SX}} ROMA, 25 novembre 2007 - PECCATO che il rancore verso l’intera classe politica abbia preso il sopravvento sulla solidarietà tra le donne. E peccato, ancora, che l’odio antico verso il «maschio stupratore» abbia macchiato di sessismo al contrario un evento che aveva i numeri per essere annoverato come un punto di svolta nella lotta alla violenza contro le donne. Peccato, davvero.

Perché erano bellissime quelle 150 mila (forse) «femmine» che ieri, nonostante un tempo da lupi, hanno occupato gioiose le strade di Roma. Gridando slogan impietosi, per carità, contro quegli uomini che oggi sembrano più cattivi che mai, ma il colpo d’occhio rendeva giustizia alla necessità di risolvere una delle emergenze nazionali più pesanti.

IN CORTEO tre, forse quattro generazioni di donne (avvistati parecchi passeggini occupati rigorosamente da bambine) e in testa al corteo, lo striscione che dava il senso all’iniziativa: «La violenza degli uomini contro le donne comincia in famiglia e non ha confini».

E GIÙ fischietti e slogan ritmati: il più gettonato e puntuale: «Il maschio violento non è un malato, è il figlio sano del patriarcato». Nel mirino, il pacchetto sicurezza che ha snaturato la legge sulla violenza presentata dal ministro Pollastrini. «Se la violenza è sotto il tetto — altro slogan — che ci facciamo con questo pacchetto?». E, soprattutto, il sindaco Veltroni, «reo» di aver mandato a gambe all’aria la legge: «Veltroni razzista!», primo striscione, «Veltroni non ci difendere, facciamo meglio da sole», il secondo, in coda al corteo.



LA RABBIA, comunque, era palpabile, ma composta. Fino a quando il corteo non è passato a piazza Santa Maria Maggiore. Proprio lì si sono inserite Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo. Alcune militanti dei centri sociali, altre vecchie femministe ancora astiose per il fallimento delle loro lotte degli anni ’70, le hanno circondate. Il corteo si è fermato e sono partiti i fischi, gli insulti, le grida.


«FASCISTE, fuori dal corteo!», «Ve ne andate o no...», «Sostenete partiti macisti, ci fate schifo!». Un errore clamoroso. Le due parlamentari, visibilmente scosse, sono state fatte allontanare da due uomini della loro scorta personale. Più tardi la Prestigiacomo dirà di essere andata da sola al corteo e di essere stata «cacciata». Poi i commenti di entrambe: «Eravamo lì come tante altre donne per dire no alla violenza — hanno spiegato entrambe — e quello che è accaduto è inaccettabile; in questo modo si fomenta l’odio ideologico di parte. Nonostante tutto, il nostro impegno andrà avanti».


Quello che, in quel momento, era sembrata una contestazione contro una sola parte politica si è poi svelata essere contro «tutte» le politiche. Le organizzatrici, in verità, avevano voluto ribadire il loro no alla possibilità che la manifestazione fosse utilizzata come vetrina per le esponenti del Palazzo.

«QUI ci devono stare solo le donne normali», si era affrettata a commentare Monica Pepe, del comitato promotore. E, per carità, guai anche agli uomini . Due giornalisti e tre fotografi delle agenzie di stampa sono stati allontanati senza troppi convenevoli.
Il peggio, però, doveva ancora succedere. Ed è arrivato alla fine, a piazza Navona. Al centro, «la 7» aveva montato un gazebo per la diretta televisiva. Quando il corteo è entrato, stavano parlando le ministre Melandri, Pollastrini e Turco. La prima a finire sotto le bordarte di fischi, «vergogna, vergogna, vendute!» è stata la titolare delle Pari Opportunità.

ALLE GRIDA fuori luogo, la Pollastrini ha tentato di replicare pacatamente. Invano. Poi è toccato alla Melandri. E con lei le manifestanti sono state ancora più dure: «Non abbiamo più fiducia nelle istituzioni, figurati in una come te!», «Vergognati, venduta, vai a lavorare». Alla fine, la rabbia ha preso il sopravvento e il palco de «La7» è stato occupato.

UNA «violenza» che è stata condannata da tutte le forze politiche. Perché «se si torna indietro, con i separatismi — ha commentato Tina Lagostena Bassi, storico avvocato femminista — è davvero un guaio». Infatti, lo è stato.