{{IMG_SX}}Roma, 26 novembre 2007 - Sul welfare, si sta consumando un vero e proprio braccio di ferro: il disegno di legge che contiene misure sul mercato del lavoro e il superamento dello scalone pensionistico approda all'esame dell'Aula della Camera ma ancora non c'è accordo su quale testo il Parlamento dovrà esprimersi. Intanto, sembra quasi scontato il ricorso al voto di fiducia: il Consiglio dei Ministri l'ha autorizzata, ma formalmente l'esecutivo non ha preso alcuna decisione in questo senso.

 

Il nodo politico da sciogliere riguarda il testo da votare, ossia l'articolato uscito dall'esame della Commissione, con le relative modifiche, o quello che recepisce interamente il Protocollo tra Governo e parti sociali. E su questo, si sta consumando un aspro confronto tra le diverse anime dell'Unione.

 

L'ala di sinistra, con Prc in testa, chiede infatti che il Parlamento debba esprimersi sulle modifiche introdotte in Commissione; i diniani, invece, ribattono sull'opportunità che il ddl rifletta interamente il protocollo e quindi che non vengano minimamente ratificate le modifiche della Commissione. In caso contrario, sono pronti a votare contro. Anche sindacati e Confindustria sono di quest'avviso, e sabato scorso il leader degli industriali Luca Cordero di Montezemolo ha fatto sapere che il Governo si gioca, su questo, la sua credibilità.

 

Ad ogni modo, la mediazione spetta a palazzo Chigi: secondo alcune indiscrezioni, il Governo intende incontrare già oggi le parti sociali per tentare di sbloccare l'impasse ma il premier Romano Prodi tornerà dagli Emirati Arabi solo nel pomeriggio. Al momento, comunque, non c'è alcuna convocazione ufficiale. Secondo altre fonti, le trattative avverranno invece in via riservata e quindi senza la necessità di un incontro. Sia come sia, la 'quadra' deve arrivare al massimo entro la giornata di domani.

 

In particolare, il problema politico più rilevante riguarda i contratti a termine: nell'accordo del 23 luglio, si prevedeva una sola proroga dopo 36 mesi di durata. In Commissione, è stato invece introdotto un limite temporale di 8 mesi per la proroga ed è stato deciso che i 36 mesi di durata si calcolano indipendentemente dalle interruzioni. Gli altri 'ritocchi' decisi in Commissione sono relativi ai lavori usuranti (è stato cancellato il riferimento delle 80 notti) e al job on call (confermata l'abrogazione ma reintrodotta in deroga per alcuni settori come il turismo e la ristorazione).

 

Una sintesi che permetta di raggiungere l'equilibrio nella maggioranza e di non deludere le aspettative di Confindustria e sindacati. Il premier Romano Prodi si è detto fiducioso sulla possibilità di trovare "l'accordo senza stravolgere il Protocollo" e domani potrebbe incontrare le parti sociali, accelerando i tempi visto che il via libera di Montecitorio al disegno di legge deve arrivare entro giovedì 29.


"Non vedo il rischio di una rottura definitiva sul Welfare", ha detto Prodi. "Questo è il governo della pazienza e così troveremo l'accordo senza stravolgere il Protocollo. Gli adattamenti tecnici e gli aggiornamenti sono indispensabili, perchè il Protocollo non è una norma di legge, ma le variazioni non possono andare al di là di variazioni condivise e accettate da tutti.
Certamente - ha rassicurato il presidente del Consiglio - se ci fossero cambiamenti radicali, non potrei che rivolgermi al tavolo delle parti".


Per la Cisl il governo "dovrebbe solo dire questo: l'accordo è già stato fatto" sul welfare. Il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, non c'è l'ha con il Parlamento, ("è sovrano, anche se deve tener conto della società"), ma con l'esecutivo, in particolare con alcuni ministri che "si affannano inutilmente" a sostenere che le modifiche al protocollo fatte in Parlamento sono compatibili con l'intesa firmata dalle parti sociali.
Gli accordi, spiega Bonanni in un'intervista a La Repubblica, "sono il risultato di un compromesso" e poi "su quel testo si sono espressi milioni di lavoratori. Non si può pensare che chi è andato in minoranza in quella consultazione ora trovi soddisfazione con le modifiche. Il tempo della mediazione è scaduto". Il segretario auspica che il governo esca "da questo pasticcio" e che dica "che il testo non si tocca più".


Sulla stessa lunghezza d'onda Lamberto Dini al quale non basta che il governo mantenga "la sostanza" dell'accordo sul welfare. Per votarlo, Dini vuole che l'articolato concordato con le parti sociali venga preso così come è e trasformato nel maxiemendamento sul quale porre la fiducia. "Non c'è altra scelta che restare al testo di luglio - afferma in un'intervista - se il governo vuole il nostro voto".


Il testo non l'ha cambiato il Parlamento, sostiene Dini, ma "è la commissione che ha introdotto delle modifiche, con il parere contrario del governo. Dunque non è il governo che non deve contraddirsi, che non deve cambiare idea". Il rischio è di "delegittimare il confronto con le parti sociali". Per Dini "sarebbe un errore politico gravissimo delegittimare i sindacati, dopo che sull'intesa si sono espressi 5 milioni di lavoratori".