{{IMG_SX}}Roma, 21 giugno 2008 - La pressione fiscale in Italia è ormai al 50%: lo sostengono gli esperti della Cgia di Mestre rilevando che essa supera di circa 8 punti percentuali quella ufficiale (nel 2006 era del 42,1%) annualmente dichiarata dall'Istat.

 

"Non è che l'Istat sbagli a fare i conti. L'Istituto nazionale - chiariscono alla Cgia - non fa altro che applicare le disposizioni previste dall'Eurostat che stabilisce che i sistemi di contabilità nazionale di tutti i Paesi dell'Unione devono includere nel conteggio del Pil nazionale anche l'economia non osservata. Ovvero, il sommerso economico che in Italia l'Istat ha stimato tra i 226,6 e i 249,9 miliardi di euro (ultimo dato disponibile riferito al 2006)".

 

In buona sostanza il nostro Pil nazionale (che nel 2006 è stato pari a 1.479.981 milioni di euro) include anche la cifra imputabile all'economia sommersa stimata annualmente dall'Istat.Ricordando che la pressione fiscale è data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil prodotto in un anno, nel 2006 la pressione ha toccato il 42,1%. La Cgia di Mestre, però, ha voluto 'stornare' dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico calcolando la pressione fiscale sul Pil reale.

 

"Facendo questa operazione 'verità', di fatto il Pil diminuisce (quindi diminuisce anche il denominatore) e, pertanto, aumenta il risultato del rapporto. Ovvero la pressione fiscale. Nel 2006 la pressione fiscale 'realè che pesa sui contribuenti italiani ha oscillato tra il 49,7% e il 50,7%. Circa 8 punti in più del dato ufficiale. Nonostante la prudenza con la quale vanno usati questi dati - dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre - i risultati dimostrano che, chi in Italia è conosciuto dal fisco, subisce un prelievo fiscale ben superiore al dato statistico ufficiale. Per questo è assolutamente improrogabile una seria lotta conto il lavoro nero e l'abusivismo. Aumentando la platea dei contribuenti potremo così ridurre imposte e contributi a chi oggi ne paga più del dovuto".