ROMA, 5 agosto 2010 - DALLA sua poltrona di presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola osserva non disinteressato ciò che accade a Roma. Il leader di Sinistra e Libertà ha da poco lanciato la sua candidatura a premier, turbando da quel giorno il sonno di molti nel centrosinistra. D’Alema è ancora scottato da quanto accadde un anno fa in Puglia, quando Vendola riuscì a battere prima lui alle primarie, poi Berlusconi alle urne.


Nichi Vendola, che cosa sta accadendo?
«Il voto su Caliendo evidenzia lo stato di agonia di ciò che abbiamo chiamato centrodestra e che dalle vicende di questi ultimi giorni esce sconvolto. La destra si divide: da una parte quella costituzionale e progressista, moderna, attaccata al primato delle libertà individuali come quella di Fini..»


...troppi complimenti da sinistra non faranno male a Fini?
«No, nessun complimento. Le destre le voglio battere tutte, faccio solo un’analisi. E poi c’è la destra di Berlusconi, con tratti nordamericani e tratti sudamericani. Una destra delle Americhe, diciamo».


Che giudizio dà della scelta di Fini?
«Ho sempre osservato con attenzione il suo percorso, non ci vedo tatticismi ma un processo reale di evoluzione. Occupa uno spazio che in Italia non era mai stato occupato. Poi c’è la divisione strategica all’interno del berlusconismo, tra il premier e Tremonti. Tra il populismo e il liberismo egoistico. Il miracolo di Berlusconi è stato tenere insieme questi due aspetti, ora il miracolo è finito».


E’ stato bravo il Cavaliere...

«Non bravo, straordinario. Guardi, non sono io quello che lesina i complimenti al presidente del Consiglio. Solo gli sciocchi hanno bisogno di denigrare l’avversario. Nel mio campo ci vorrebbe più analisi e meno anatema per capire come ha funzionato il marchingegno del berlusconismo».


Dalla crisi si esce solo con le elezioni?
«Le crisi sono più di una: quella economico-finanziaria prima negata e ora lampante; poi c’è una crisi sociale, che è ancora sottotraccia ma che rischia di esplodere in un autunno caldissimo; poi c’è la crisi morale di un paese che pare non voler abbandonare i classici luoghi del delitto: mafia, massoneria deviata, malaffare».


Le elezioni risolverebbero tutto?

«L’insieme di queste crisi ci parlano di un paese che ha bisogno di un atto di pulizia, e non servono alchimie di palazzo come governi di difficile formulazione».


Non chiede elezioni per un atto di convenienza personale?

«Non ho fregole particolari. Penso che la terapia d’urto sia la medicina migliore per la democrazia».
 

E il terzo polo? Ci crede?
«Un embrione di terzo polo sgretola il bipolarismo all’italiana, costruito in maniera avventata. Ma staremo a vedere».


La candidatura Vendola si colloca in un’ottica bipolare?

«La mia candidatura nasce in questo quadro, nella ricerca della mitica conquista del mitico centro».


Perché si è candidato?

«Per smuovere le acque nel centrosinistra, per stanarne i vertici».


Dove nasce la crisi del Pd? Carenza di leadership?
«E’ un problema di progetto. Il Pd appare alla ricerca di un’identità mai sbocciata. E’ un partito incompiuto e questa incompiutezza contamina tutto il centro sinistra: l’alleanza che non c’è, l’alleanza che potrebbe essere una cosa ma anche una cosa diversa. C’ è addirittura chi pensa che Marchionne sia un progressista. Con questi ragionamenti il centrosinistra sembra più una seduta spiritica che una proposta per il paese».


Lei sta con Marchionne o contro?

«Sto con gli operai di Pomigliano e di Melfi».


A Pomigliano c’erano gli operai della Cisl e quelli della Fiom.

«Sto contro il ricatto di Marchionne. Sto con la Costituzione della Repubblica, dalla parte di quegli operai che a trent’anni paiono averne cinquanta. Voglio che i lavoratori siano portatori di diritti e non vittima di una forma di schiavitù. Lavoro e libertà si devono abbracciare».


Ieri Enrico Letta le ha sbarrato la porta, dicendo che il Pd ha il leader, Bersani.

«Sto in una coalizione di centrosinistra ma certe volte non capisco in quale coalizione Letta voglia militare. Sto con il popolo del Pd, la nostra più grande risorsa».


Quindi largo alle primarie di coalizione?

«Le primarie sono indispensabili. Sono la benzina nel motore in una macchina che fa tanta fatica a mettersi in moto».


Il Pd pare un partito appenninico. Perché finisce per avere solo lì la sua forza? Clientele, strutture, apparati?

«Con tutte le criticità possibili, credo ci sia soprattutto una lunga storia di buon governo. Il modello del riformismo nato nell’Italia centrale ha superato molte prove importanti. E’ un insediamento territoriale che va esportato al sud e al nord battendo il grande venditore di sogni che è Berlusconi».


Ma la politica ha bisogno dei sogni...
«Certo, ma cosa è sognare il futuro per il paese, la sua collocazione nel mondo e indicarlo alla gente, una cosa è vendere un aquilone in cielo o tutte le altre favole berlusconiane. Che tra l’altro finiscono prima o poi per sgretolarsi».


Quali sono le favole?

«La sicurezza, tanto sbandierata salvo poi vedere i poliziotti davanti a Montecitorio a protestare contro i tagli del governo; la filantropia berlusconiana finita a L’Aquila davanti a promesse mancate e a risvolti penali che mi paiono solo all’inizio».


Che cosa pensa quando sente parlare di lei come un poeta? Per un politico non dovrebbe essere un gran complimento...

«I miei avversari sono abbastanza ripetitivi e anche un po’ stucchevoli. Mi rivolgono quest’accusa, ma alla fine mi fanno pubblicità. In un mondo così cinico evidentemente quest’idea del poeta ha pagato. E in ogni caso, pagava o no, così sono fatto».


Le dicono di essere solo un Berlusconi di sinistra. La fa ridere?
«Purtroppo non alludono al reddito. Sono un prodotto eterodosso. La differenza tra me e lui è che lui è un populista classico, io sono un populista antipopulista».