Roma, 17 agosto 2010 - Prima fu il ‘presidente notaio', poi divenne il ‘picconatore': Francesco Cossiga è stato un capo dello Stato unico nel suo genere nella storia della Repubblica, fuori dagli schemi, diverso da tutti i suoi predecessori e da tutti i suoi successori soprattutto per il modo con cui, specialmente negli ultimi due anni del settennato, ha trattato e affrontato i temi della vita politica e dei partiti.

Nell’ultimo tratto del percorso da inquilino del Quirinale nel mondo politico si è persino sparsa la voce di una ‘follia' del presidente. Ed è lo stesso Cossiga a raccontare i retroscena della leggenda del capo dello Stato ‘mattò, nel libro-intervista di Claudio Sabelli Fioretti ‘L’uomo che non c’e": "è vero, io facevo cose un po' strambe, ma le facevo perchè non avevo dietro di me potentati economici, nè potentati politici, nè potentati culturali. Ero stato abbandonato anche dalla Dc".

"Per farmi ascoltare  -raccontava Cossiga - dovevo fare follie, dovevo dire cose che avevano la forma della follia. Quello che per anni è stato il mio avversario ideologico, Luciano Violante, in un libro ha detto che avevo previsto tutto rispetto a loro e che loro non vollero credermi. Come tutti i depressi, io però avevo una grande lucidità intellettuale. Si dice che Newton abbia scoperto la legge di gravitazione universale durante una crisi di depressione... Ho fatto, dunque, anche il matto. Per attirare l’attenzione, quando non mi stava a sentire nessuno".

La presidenza Cossiga ha avuto dunque due fasi distinte. La prima, contraddistinta da una rigorosa osservanza delle forme dettate dalla Costituzione: Cossiga, essendo tra l’altro docente di diritto costituzionale, fu il classico ‘presidente notaio' nei primi cinque anni di mandato, dal 1985 al 1990. Poi, dopo la caduta del Muro di Berlino, Cossiga capì che Dc e Pci avrebbero subito gravi conseguenze dal mutamento radicale del quadro politico internazionale, sostenendo però che i partiti e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo. Da quel momento iniziò una fase di conflitto e polemica politica, spesso provocatoria, che portò al Cossiga ‘grande esternatore' e, negli ultimi due anni al Quirinale, al ‘picconatore', un appellativo che non l’avrebbe più abbandonato.

Il mito del Picconatore nacque anche sull’onda emotiva di due scandali che hanno segnato la vita politica italiana all’inizio degli anni Novanta: Gladio e Tangentopoli. La scoperta dell’organizzazione segreta della Nato, creata per rispondere ad un eventuale attacco portato dall’Unione Sovietica, colpì l’opinione pubblica e la classe politica italiana. E Cossiga assunse una posizione che fu all’origine di fortissime polemiche, difendendo i ‘gladiatorì e sostenendo che essi andavano onorati come i partigiani perchè il loro obiettivo era quello di difendere l’indipendenza e la democrazia in Italia.

E proprio la vicenda di Gladio costò a Cossiga la richiesta di messa in stato d’accusa da parte della minoranza parlamentare, nel dicembre del 1991. Il Comitato parlamentare, però, ritenne tutte le accuse manifestamente infondate, come si può leggere negli atti parlamentari del maggio 1993, e la Procura di Roma richiese l’archiviazione a favore di Cossiga nel febbraio 1992. Nel luglio del 1994 la richiesta fu accolta dal Tribunale dei ministri.

Anche sull’altro grande scandalo dell’epoca, Tangentopoli, Cossiga confermò di essere un presidente della Repubblica ‘anomalo', almeno per quegli anni. Per la prima volta, infatti, un politico democristiano non cercò di negare il ruolo negativo di una parte della classe politica, appoggiando l’operato dei magistrati di Milano che guidano l’inchiesta sulle tangenti al sistema politico.

Mani Pulite, ha raccontato Cossiga nel suo ultimo libro ‘Fotti il potere', "non nasce con l’arresto di Mario Chiesa. Ho parlato con diversi grandi imprenditori coinvolti, e tutti mi hanno detto che gli sono stati contestati fatti appresi dai magistrati anni prima grazie alle intercettazioni. C’è qualcosa che non torna: perchè quelle inchieste da anni dimenticate sono state di colpo lanciate tra i piedi del ceto politico?". Forse perchè, secondo Cossiga , qualcuno, non solo in Italia, voleva liberarsi di un sistema politico "logoro e dal loro punto di vista ormai inservibile".

Con dieci settimane d’anticipo sulla scadenza naturale del proprio mandato, il 28 aprile del 1992, Cossige si dimise dalla presidenza della Repubblica per evitare l’ingorgo istituzionale, annunciando la sua decisione in un discorso televisivo di 45 minuti, pronunciato simbolicamente il 25 aprile, Festa della Liberazione.