ROMA, 6 dicembre 2010 - IDEALI E BENE del paese vanno tenuti in considerazione, ma è probabile che decine di parlamentari ora mettano al primo posto il loro interesse personale. Nella maggioranza qualcuno si chiede se, in caso di caduta di Berlusconi, dovranno puntare sul prolungamento della legislatura con governi d’emergenza o rassegnarsi a lasciare il seggio nell’incertezza di poterlo rioccupare, rischiando anche di dire addio alla politica senza il beneficio di una pensione seppur più modesta di quelle del passato.

Sono 345 i parlamentari (240 deputati e 105 senatori) che in caso di scioglimento delle Camere non riceverebbero un euro di pensione per colpa, o merito, di una recente legge che vincola il vitalizio a 5 anni di mandato, anche se in legislature diverse, mentre prima bastava superare la soglia dei «2 anni, 6 mesi e un giorno» di una sola legislatura.

Tra loro gente coi quattrini come Santo Versace o Michela Brambilla, o con posto sicuro come Brunetta e Scapagnini, il medico del premier, o il giurista Cazzola; anche altri, come l’attore Barbareschi, l’editore Ciarrapico, Lannutti dell’Adusfbef, la funzionaria Onu Contini, non dovrebbero avere problemi di cassa.

Ma su 345 c’è anche gente che ritroverebbe un lavoro remunerato se pure non al livello dello stipendio di parlamentare, come forse è il caso di alcune parlamentari suggerite dallo stesso premier o del Pd Boccuzzi che dovrebbe tornare alla Thyssen.

Davanti a un voto incerto, i parlamentari Pdl che rischiano la pensione sono 113 alla Camera e 40 al Senato. Più tranquilli i leghisti, ma pur sempre 44 e 12: tutti a sperare che Bossi li rimetta in lista. Ci sono anche 9 deputati Fli di prima nomina, tra loro Barbareschi e Granata. Alcuni, si mormora, si interrogano se dare il loro sostegno a un governo che porti avanti l’orologio di stipendio e pensione.

Ma è un problema anche per l’opposizione. Se per un cartello Udc, Fli, Api le incertezze elettorali sono tante, per i parlamentari del Pd le preoccupazioni la fanno da padrone (ora per di più sarebbe Bersani e non Veltroni a fare le liste): coi sondaggi che danno il Pd al 23% pochi tornerebbero a varcare gli amati portoni. Così Berlusconi lancia un occhio ai tremebondi della sua sponda, ma anche a quelli dell’opposizione.