Roma, 29 maggio 2011 - MILANO viene data per persa. Napoli, in realtà, pure. Anche se in alcuni settori del Pdl domina un certo ottimismo della volontà. C'è chi ritiene che «i napoletani abbiano mentito ai sondaggisti». Chi fa affidamento sugli uomini forti di Bassolino «che in realtà lavorano per Lettieri». Chi ritiene decisivo il fatto che «se vincesse Lettieri il Pd eleggerebbe quattro consiglieri in più, dunque tra i quattro e gli otto di loro giocheranno a perdere». Chi prega San Gennaro. Meglio stare ai fatti: due candidati deboli, la delusione di molti elettori del centrodestra per la performance del governo e l'evidente crisi del carisma di Berlusconi porteranno presumibilmente ad una doppia sconfitta. Proviamo ad ipotizzarne le conseguenze.

LEGA. Alle elezioni il Carroccio è andato peggio del Pdl, la leadership di Bossi è appannata, il partito è preda di profonde e non ancora palesi divisioni interne. Si pensa al dopo. Il dopo Bossi. Tre ipotesi: la Lega scarica Berlusconi e si presta a un ribaltone; scarica Berlusconi e punta alle elezioni in autunno; avvia un percorso di autonomizzazione dal Pdl. La terza è l'ipotesi oggi più probabile. Vuol dire un altro anno di legislatura, conflittualità interna in aumento, elezioni politiche nel 2012 assieme alle regionali. Se, con i voti delle opposizioni, la Lega riuscirà ad eliminare il premio di maggioranza dalla legge elettorale, ritrovarsi da sola sarebbe vantaggioso: nel '96 ebbe il 10% dei consensi. Inutile dire che tornerebbe a predicare il Verbo secessionista.

MAGGIORANZA. Ad oggi, più Berlusconi è apparso debole più s'è allargata la sua base parlamentare: i peones (dalla ricandidatura incerta per definizione) si tengono stretti la poltrona. Ma ieri l'addio di Daniela Melchiorre al governo potrebbe preludere ad un'inversione di tendenza. I deputati detti Responsabili sono capaci di tutto, difficile fare previsioni. Se Berlusconi fosse disposto a un passo indietro, ogni cosa si risolverebbe: con un premier diverso, il Terzo polo entrerebbe in maggioranza. Ma Berlusconi non ne vuole sentir parlare. E, ad oggi, il grosso del Pdl non intende scaricarlo. Se il Pdl terrà, non ci sarà spazio per premier né maggioranze diverse.

GOVERNO. Berlusconi punterà tutto sul rilancio dell'esecutivo. E dunque: riforma fiscale, sblocco del Piano per il Sud e nuova legge elettorale. Sui primi due punti pesano la carenza di risorse e il rigore del ministro Tremonti: difficile ipotizzare riforme 'epocali'. A complicare la possibilità di un accordo sulla legge elettorale, la probabile divaricazione strategica tra Lega e Pdl.

PDL. Il partito, ormai lo riconoscono tutti, è nato male e cresciuto peggio. E' in corso quello che i politologi definiscono preocesso centrifugo: un fuggi-fuggi, insomma. Fioriscono le correnti (a breve la saldatura tra i gruppi di Scajola e Frattini contro gli ex An) e le liste personali (come quella della Polverini) pronte ad avventurarsi in mare aperto in caso di naufragio. C'è solo una cosa che il Cavaliere può fare per arrestare il fenomeno: chiarire che non si ricandiderà a Palazzo Chigi, ispirare una legge per regolamentare le primarie e rinnovare il partito a prescindere dal congresso. E dunque, coordinatore unico e gruppo dirigente ristretto (10-15 persone) legittimato a considerarsi la cabina di regia per il dopo-Berlusconi. Dicono voglia invece avventurarsi in un nuovo predellino. Cambiare tutto, cioè, affinché nulla cambi. Sarebbe un suicidio. Ieri, a parlare con i berlusconiani di più stretta osservanza, si coglievano sorprendenti analogie con quanto sosteneva Gianfranco Fini prima della rottura. «Il Pdl - dicono ora i berluscones - deve passare da monarchia assoluta a monarchia costituzionale». Fino alla fine della legislatura, Berlusconi deve cioè «regnare» senza per questo «governare».

E DOPO, come confida uno dei più lucidi strateghi del partito, «vedrai che sarà lui stesso ad annunciare che non si ricandiderà». Potrà sempre sperare nell'elezione al Quirinale. Previsioni appese a un filo, naturalmente. Perché l'unica certezza è che Berlusconi sta per concludere il proprio ciclo e, dopo quasi un ventennio, la sua uscita di scena equivarrà a un Big Bang che potrebbe rivoluzionare il quadro politico.