ROMA, 24 luglio 2011 - NON VORREBBE infierire. Non cavalca le inchieste. Non agita le manette. Pd e Pdl sono messi alle strette dalla magistratura e Antonio Di Pietro non s’accanisce. Ne fa un problema generale. E’ la conferma della «svolta moderata» con cui, preso atto della prossima uscita di scena di Berlusconi, intende piazzare l’Idv al centro degli schieramenti politici spostandola dalle secche del radicalismo. Ma poi non resiste, e...
Onorevole Di Pietro, negli ultimi due anni 35 dirigenti del Pd sono stati arrestati e 400 indagati. Sembra che la superiorità morale della sinistra sia un sogno.
"Non c’è dubbio, da questo punto di vista sinistra, centro e destra sono uguali. Il problema riguarda tutti, tutti davvero".
Anche l’Idv?
«Certo. Anch’io ho avuto diversi dirigenti invischiati in fatti giudiziari e se dicessi che noi siamo meglio degli altri sarei un ipocrita».
Perché?
"Perché la verità è che l’Italia dei valori ha avuto meno casi di corruzione solo perché ha meno potere. Se avessimo più assessori avremmo più inquisiti».
Non la riconosciamo. In altri tempi avrebbe infierito su avversari e alleati.
«Diciamo che col tempo ho capito che il problema dell’etica in politica non si risolve cavalcando le inchieste ma prevenendole».
Ossia?
«Vede, nel nostro ospedale etico funzionano bene i reparti di radiologia, che individua il problema generale, e di chirurgia, che interviene sul caso particolare. Bisogna rendere efficienti anche i reparti che si occupano della prevenzione e della chemio».
Fuor di metafora?
«Le ricordo la proposta che il pool di Milano fece a Cernobbio nel ’94».
Ricordi pure.
«Proponemmo un disegno di legge che prevedeva la non candidabilità dei condannati e la decadenza in casi di condanna; l’impossibilità di affidare incarichi di governo centrale o locale per i rinviati a giudizio per reati gravi; l’impossibilità di partecipare a gare d’appalto per imprenditori condannati per reati gravi; la non punibilità per quelli che, entro 90 giorni, collaborano con la Giustizia. Occorre ripartire da lì, perché il sistema del malaffare s’è allargato e ingegnerizzato».
Ingegnerizzato?
«Sì, oggi non trovi più il puff di Poggiolini pieno di contanti. Trovi incarichi, consulenze, favori all’amica: non più mazzette».
Raccomandare non è reato.
«In alcuni casi lo è».
Quanto al Pd?
«Il caso Penati è grave, anche perché si tratta del braccio operativo di Bersani. Bene che si sia autosospeso, ma dovrebbe chiedere il rito abbreviato o rinunciare a candidarsi. Il nodo Penati dev’essere sciolto prima delle elezioni».
E il caso Tedesco?
«La verità è che Tedesco è stato candidato per sottrarlo alla magistratura. E allora che senso ha poi chiedergli di dimettersi? Certo, la linea ufficiale del Pd è corretta...».
Ma al Senato non tutti l’hanno rispettata.
«Appunto, una ventina di loro ha votato contro l’arresto di Tedesco. Beh, io gli chiederei un passo indietro o non li ricandiderei».
Ora sì che ritroviamo il Di Pietro d’un tempo...
«No, guardi, non mi sono lasciato prendere la mano. Dico quello che farei io».
Non sarà che una quota di malaffare è parte strutturale della politica di governo?
«Piercamillo Davigo una volta disse che la classe politica italiana è corrotta come quella giapponese ma la differenza è che quella giappone è efficiente».
Appunto, se giudicassimo la capacità di governo più che la moralità dei singoli...
«Capisco l’obiezione, ma non posso accettarla. Allora tantovarrebbe mettere a palazzo Chigi l’efficientissimo Totò Riina».