ROMA, 20 settembre 2011 -  L’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola - dimessosi all'inizio di maggio 2010, travolto dallo scandalo sulla sua casa vista Colosseo - ha deciso di non presentarsi domani davanti ai giudici che indagano sull’appartamento da lui acquistato in via Fagutale nel 2004 e pagato in buona parte, 900 mila euro del milione e 700 mila versato ai proprietari, dall’imprenditore Diego Anemone, personaggio chiave delle inchieste sugli appalti per il G8 del 2009.

Il suo avvocato Giorgio Perroni ha infatti presentato un atto al procuratore aggiunto Alberto Caperna e ai sostituti Roberto Felici ed Ilaria Calo’, nel quale l’ex ministro ha formalizzato la sua intenzione di non rispondere alle domande degli inquirenti. L'accusa per Scajola è di  violazione delle norme sul finanziamento dei partiti. Pare che l'ex minisro non abbia neppure intenzione di presentare una memoria scritta a sua difesa.

In quanto indagato, ha spiegato Perroni, Scajola "ha il diritto di vedere gli atti, le reali parole e circostanze che lo chiamano in causa e poi valutare se rispondere ai pm. Noi riteniamo, sulla base delle notizie di stampa, che alcuni testi non abbiano detto la verità in questa storia".

Ricordiamo che Scajola ha sempre sostenuto di non essere mai stato a conoscenza che una parte del denaro per l’acquisto della casa era stata sostenuta da Anemone. In seguito l'ex ministro ligure aveva annunciato di essere uscito dall’abitazione subito dopo aver dato le dimissioni, di esserci tornato solo in occasione di alcune trasferte a Roma e che l’appartamento era stato messo in vendita.

Il punto è che sulla vicenda pende il rischio della prescrizione:per questo motivo gli inquirenti di piazzale Clodio avevano emesso l’invito a comparire nei confronti dell’ex ministro, al fine di interrompere la prescrizione e di portarla, attraverso tale atto, da sei a sette anni e mezzo.

Nell’inchiesta ovviamente è indagato anche Anemone, che se fosse convocato in procura potrebbe avvalersi della facolta’ di non rispondere. Sul caso sono già state sentite le sorelle Barbara e Beatrice Papa, ex proprietarie dell’appartamento, che hanno ribadito di aver ricevuto, in sede di compravendita, degli assegni dall’architetto Angelo Zampolini.