Roma, 22 settembre 2011 - Con voto segreto elettronico la Camera ha negato l'arresto del deputato Pdl Marco Milanese, accusato dalla procura di Napoli e dal gip Amelia Primavera di corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere. Il voto, che tecnicamente era tra favorevoli e contrari all'analoga decisione della Giunta per le autorizzazioni a procedere del 14 settembre scorso, è terminato così: favorevoli 312, contrari 305. Erano presenti 617 deputati (maggioranza 309).

 

Per soli tre voti Milanese si è salvato, ma sono voti che politicamente pesano tonnellate perché la maggioranza, pur sfilacciata, ha ancora resistito all'assalto dell'opposizione (che secondo molti sondaggi, se si votasse oggi, avrebbe la maggioranza). Certo, numeri risicatissimi. Che alla lunga - specie nel contesto attuale, - non potranno durare. Ma nel braccio di ferro della "conta", visto il valore politico assunto dal voto dopo dieci giorni deflagranti tra intercettazioni telefoniche-hot, spread ipertrofici e tonfi paralleli di Borsa o di rating, gli esteti della spallata hanno di nuovo masticato amaro. Il patto Berlusconi-Bossi momentaneamente tiene (con tregua padana tra il Senatur e Maroni) e una maggioranza che sembrava sul punto di implodere si allunga la vita proprio grazie all'eccessivo carico simbolico rovesciato sul voto dall'opposizione. Un carico diminuito troppo tardi, solo dopo la decisione della Lega di allinearsi al premier. Il quale, nella riunione di governo pre-voto, continuava a scandire il suo più classico mantra: "No all'attacco dei giudici".

 


Milanese, autosospesosi dal partito proprio per aiutare gli indecisi, era arrivato in aula poco dopo le 10 dicendo ai giornalisti di non voler parlare ed accomodandosi al suo posto, il numero 427 dell'emiciclo. Dibattito secondo i canoni previsti, senza acuti né risse. Enfasi in quantità modica, sostituita - a sinistra - dall'elenco minuzioso delle malefatte di Milanese secondo gli atti della procura e del gip di Napoli (racconto non dei più edificanti). Secondo il gip partenopeo, Milanese avrebbe attribuito nomine in diverse società controllate dal Tesoro, tra cui Ansaldo Breda, Oto Melara, Sogin, Sace, ricevendo «come corrispettivo somme di denaro e altre utilità»  (e anche nel suo caso emergono i rituali status symbol: auto, barche, gioielli e via andare). Milanese nega, nonostante il vorticoso flusso di soldi riscontrato dalla Procura. E la sua parola conta. Per Pdl e Lega segnali di fumus persecutionis evidenti, per il centrosinistra e per Fli fumus assente e quindi impossibile salvare il deputato. Segue inevitabile siparietto di reciproci addebiti tra giustizialisti e innocentisti, naturalmente a prescindere.

 


A un certo punto sembra quasi che si vada spediti al voto, nonostante l'aula presenti larghi vuoti. Il presidente Fini detta tempi stretti e subito fioccano altre richieste di intervento. Il capello lo spacca Pierluigi Mantini, Udc, presidente per la giunta delle autorizzazioni: "Non è bello ritrovarsi, due mesi dopo Papa, a votare per l'arresto di un altro parlamentare, che potrebbe essere persino innocente. Ma noi non possiamo sostituirci al giudice. L'art. 68 della Costituzione è chiaro, dobbiamo pronunciarsi solo sul fumus. Bene. Negli atti del gip non c'è alcun fumus persecutionis, ci sono anzi riscontri forti. Come nella storia dell'appartamento sublocato da Milanese a Giulio Tremonti e pagato in contanti". E' quello in Campo Marzio del Pio Sodalizio dei Piceni, dove il ministro dell'Economia si era rifugiato, sentendosi "spiato" nella caserma della Finanza. E dal quale, esploso il caso, ha dovuto traslocare. "Non solo - prosegue Montini -: il giorno dell'arresto di Viscione, Milanese ha svuotato le sue cassette di sicurezza. Quindi il rischio di inquinamento delle prove per il quale il gip ha chiesto l'arresto c'è. Del resto lo stesso Milanese parla di fumus non da parte del giudice, ma del suo accusatore Viscione". Poi tocca al capitolo Gdf. "Il generale D'Arrigo ha detto esplicitamente che Milanese era l'unico referente della Guardia di Finanza per conto di Tremonti. E qui mi fermo per carità di patria" chiude Mantini.

 


Gli replica il relatore della Lega, Davide Paolini: "La carcerazione preventiva non è la soluzione del problema. Bisogna fare i processi: Papa  da due mesi marcisce in carcere e chissà per quanto ci resterà. Qualunque decisione oggi prenderemo il processo a Mianese va avanti e solo la sentenza stabilirà se Milanese è colpevole: la Lega ritiene sussistente il fumus persecutionis e voterà contro l'arresto. Non ne vediamo gli estremi".

 


Milanese, nato a Milano da genitori campani nel 1959 e poi in Campania cresciuto, ex ufficiale della Gdf, laureato in giurisprudenza e in Scienza della Sicurezza economico-finanziaria, professore ordinario di diritto tributario, eletto nella circoscrizione Campania 2, già braccio destro del ministro Tremonti, osserva in silenzio. E' dimagrito di "cinque chili" come ha dichiarato ai colleghi. Sembra freddo, convive con la tensione. 

 

Il  voto s'avvicina. E tra i banchi del governo non c'è Giulio Tremonti, in missione negli Usa per la riunione del Fondo monetario internazionale. Un'assenza - quella del coinquilino nell'appartamento che il suo braccio destro Milanese gli subaffittava in contanti - che ha una rilevanza politica immensa. Otto gli assenti nella maggioranza: sei del Pdl, uno della Lega, uno di Noi sud. I sei del Pdl sono Alfonso Papa (agli arresti a Poggioreale), i ministri Giulio Tremonti e Franco Frattini (in missione) e altri tre ''ingiustificati'' (Pietro Franzoso, Giuseppe Angeli e Nicolò Cristaldi). Nei banchi della Lega manca invece invece Alessandro Montagnoli. Assente anche il deputato di Noi Sud Antonio Gaglione. Due soli invece gli assenti nell'opposizione: l'Udc Antonio Merlo e l'esponente Fli Mirko Tremaglia.
 

 

I toni si alzano con l'intervento di Maurizio Paniz (Pdl), l'avvocato bellunese con aura risorgimentale che tocca tutti le possibili corde tematiche ed emotive. Cita la Costituzione (art. 13-27-67), del 68 (inteso come articolo della Carta) ha una visione chiara: "No all'arresto". Anche per evitare nuove vittime di possibile accanimento giudiziario. Richiama il caso di Mannino, attacca De Magistris (pur senza nominarlo) e tutti i magistrati che dopo inchieste d'assalto non sempre finite bene passano alla politica. "Il Parlamento va difeso dalla bestia dell'antipolitica. Chi sarà la prossima vittima del sacrificio umano per calmare i sentimenti anti-casta della gente? - si chiede Paniz -. Può toccare a ciascuno di noi". Somministrazione della paura. E richiama ancora il caso Papa: "Il 20 luglio abbiamo votato l'arresto di Alfonso Papa, il suo banco è qui a tre metri da me, vuoto. Dopo 63 giorni possiamo chiederci se quella magistratura inquirente, che ancora reclama un'altra vittima, ha fatto buon uso della nostra grave decisione. Grave non per mancanza di rispetto verso la magistratura ma perché ha intaccato il plenum dell'assemblea".
 

 

Temperatura giusta. Si va alla conta e il risultato è diverso dalle attese di chi aveva chiesto il voto segreto: 312 a 305 (il vicesegretario del Pd Enrico Letta, voto n° 306, ha pigiato il tasto elettronico ma non è stato registrato). Sono quindi 7, secondo i tabulati delle votazioni, i franchi tiratori della maggioranza che hanno votato con le opposizioni per l'arresto di Milanese. I deputati dell'opposizione erano infatti 299 mentre il sì all'arresto è stato votato da 305 (306 con Letta). Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl: "Franchi tiratori? Non mi risultano perché ci sono 7 assenti tra Pdl e Lega. Tutti con giustificazione tranne uno che è eletto all'estero. Quindi i conti tornano. Noi abbiamo avuto 312 voti a fronte di 7 assenti". Anche l'aritmetica in Parlamento è bipolare.

 

Berlusconi respira. Il governo va avanti? "Eccome no - allarga un sorriso -. Stiamo lavorando per il meglio". Si rabbuia solo alla parola Tremonti: "Altra domanda, grazie". Ma alla conta dei voti, inquadrato dalla telecamera di Repubblica TV,  si era lasciato sfuggire un "solo 7 voti in più?", nascondendo con difficoltà l'irritazione. Bossi passa all'incasso: "Visto? La Lega si conferma alleato fedele". E i franchi tiratori? "Non erano della Lega, perché quando diamo una parola la manteniamo". Granata (Fli) si sfoga: "Ora la Lega non parli più di legalità". E Franceschini, capogruppo Pd, stilla riprovazione: "I guerrieri padani, quando il padrone fischia, corrono scodinzolando". Non gli alleati storici, come Tremonti. Subito preso a tacchi in faccia da Daniela Santanché: "E' umanamente vergognoso che il ministro Tremonti oggi non fosse in aula. Nella vita come nella politica bisogna essere uniti, nella buona come nella cattiva sorte. Oggi noi abbiamo messo la faccia in nome del garantismo e in difesa delle prerogative dei parlamentari. Non aver visto la sua è ingiustificabile". Berlusconi fuori dall'aula ricompatta i suoi: "Ora dobbiamo andare avanti con il governo ma dobbiamo anche mettere mano alle intercettazioni perché così non si può andare avanti''. E la rumba continua.