Roma, 20 ottobre 2011 - Silvio Berlusconi in versione torrenziale rompe gli argini di Montecitorio e, a poche ore dal nubifragio che ha flagellato la città, tiene un corso motivazionale accelerato ai parlamentari del Pdl. Cinque le verità autoproclamate. 1) "Io vengo aggredito ogni giorno mediaticamente e giudiziariamente, ma ho avuto 25 assoluzioni. Non mollerò mai. Anche si mi accusano di tutto, tranne di essere gay" (e subito scattano le reazioni delle associazioni omosessuali).  2) "Io al Pdl sono attaccatissimo, ma per il 2013 dovremo cambiare nome al partito perché l'attuale acronimo non emoziona". 3) ''Siamo disponibili ad approvare una modifica che renda inutile il referendum elettorale grazie alla reintroduzione delle preferenze''. 4) "Mai c'è stata l'idea di votare anticipatamente. Vogliamo arrivare al 2013 e completare il programma". 5) "Stiamo lavorando per vedere di cambiare il panorama delle trasmissioni televisive: alcune sono allucinanti". Seguono altre corpose subordinate. Tra cui la più sorprendente (e senza riscontri né indicazione della fonte) è sondaggistica: "In questo momento siamo sopra al centrosinistra del 4%''. Naturalmente senza contare l'Udc (ormai sulle barricate assieme a Pd e Idv): il partito che nel 2012 o nel 2013, se lo scenario non cambia, farà la differenza.

 


RIMPIANTO CASINI - "Se alle elezioni andassimo con l'Udc prevarremmo certamente. Anche per questo io non ho risposto mai alle dichiarazioni spiacevolissime che Casini e Cesa fanno anche sulla mia persona", si rabbuia il presidente del Consiglio, prodigo di suggerimenti anche per Casini: "Se l'Udc si unisse alla sinistra perderebbe i due terzi dell'elettorato, per questo dobbiamo insistere su questo punto e cercare nel Parlamento il confronto con i parlamentari dell'Udc e del Terzo Polo".

 


Sì ALLE PREFERENZE - Intervenuto all'assemblea del gruppo Pdl alla Camera, Berlusconi prova a seminare ottimismo e coesione in un partito meno granitico di quanto certificato da tutti i voti di fiducia o dalle recenti prove d'aula (da no all'arresto di Milanese al no alla sfiducia di Romano) in cui era in ballo anzitutto la reale sopravvivenza della maggioranza di governo. Per movimentare il quadro, il premier mette addirittura in palio una nuova legge elettorale in grado di sterilizzare i referendum, con il ritorno alle preferenze, ma "senza snaturare il bipolarismo con il premio di maggioranza come avviene alle Europee", è la decrittazione che ne fa il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Giro.
 

 

OBIETTIVO CHIARO - L'importante è mangiare il panettone a Palazzo Chigi. "Perché poi da gennaio le elezioni anticipate non saranno più un rischio - annuncia il premier - e alla scadenza naturale ci presenteremo al Paese con straordinarie riforme". Quali, non precisa. Forse la solita riduzione della pressione fiscale? La tassazione complessiva sotto questo governo è aumentata, ma Berlusconi continua a sentirsi ostaggio di Tremonti. "Non è possibile che in uno stato moderno il premier non possa dimissionare i ministri e questi possano ridere in faccia al presidente del Consiglio - si lamenta -. Io posso solo decidere l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri e di suggerire al Parlamento dei disegni di legge che devono sempre portare la firma del Presidente della Repubblica. Non è possibile che un presidente del Consiglio non possa nominare ministri o dimissionarli".
 

 

ALLEATO GRILLO - In compenso c'è un avversario che lo rende sempre felice. "Lunga vita a Beppe Grillo - sorride il premier -, a forza di togliere voti alla sinistra sta diventando il nostro miglior alleato...Il 95% dei suoi elettori sottrae voti alla sinistra, mica a noi".
 

 

NUOVA BATTAGLIA - La domanda è naturale. Il presidente del Consiglio racconterà pure a se stesso e ai suoi di puntare alla scadenza naturale della legislatura (sennò, tra l'altro, quelli lo mollerebbero subito per strada),  ma quando lustra la sua immagine, si lamenta di essere perseguitato dai magistrati, apre alle opposizioni sulla nuova legge elettorale, si riscopre imprenditore televisivo con tanto di consigli mediatici ai portabandierà della Libertà e infine progetta l'ennesimo invio di dèpliant agli italiani, a che starà mai pensando se non a un'imminente battaglia elettorale?

 

CERCASI NOME - "Ma di sicuro il nuovo partito non si chiamerà Forza Silvio" concede il premier, ora serio e compito, a quindici giorni dai goliardici sghignazzi del Forza Gnocca. ''Non esiste alcuna ipotesi di una mia lista personale per le prossime elezioni - dichiara -. Tra le cose buone che ritengo di aver fatto c'è di aver dato vita con il Pdl al partito dei moderati italiani nell'ambito della famiglia del Ppe''. Il nome però adesso sarà cambiato. "Questo acrononimo, Pdl, non comunica niente, non commuove. Apriamo una riflessione. Abbiamo fatto qualche sondaggio, sono venuti fuori nomi che possono emozionare". Come se la questione nominalistica fosse dirimente. E la risicata maggioranza parlamentare una semplice pagliuzza.

 

L'ECONOMIST ACCUSA - "Nel momento in cui la crisi europea imporrebbe all'Italia un'azione decisa per stimolare la crescita attraverso riforme strutturali - scrive l'autorevole settimanale inglese -, il Paese si trova in sella un Governo che ha un forte interesse a legiferare il meno possibile". Berlusconi non replica, invita però tutti i parlamentari del Pdl a trasformarsi in dinamici attivisti: "Dovete parlare nelle trasmissioni locali, nelle radio e spiegare quanto abbiamo fatto". Lui, intanto, fa i complimenti a Laura Ravetto intervenuta a L'Ultima Parola. "E' stata bravissima - concede -, però avrebbe dovuto scuotere maggiormente la testa. Quando parlava l'opposizione prestava troppo attenzione". E subito dopo rivolto all'uditorio: "In tivù non date mai del tu ai vostri avversari di centrosinistra, sennò si crea l'effetto teatrino". E l'invito a dargli retta trova robusta controfirma moscovita: "Sapete che mi ha detto Putin quando in uno stadio mi hanno applaudito per 6' e lui solo per 5'? Silvio, per fortuna che tu non stai in Russia!".  

 

FERVORINO SETTIMANALE - "Io credo ancora alla vittoria nel 2013 - chiude il premier -, ma tutti dobbiamo impegnarci per essere il primo partito d'Italia, stare sul territorio e fare in modo che gli italiani credano a quello che stiamo facendo: io ci credo ancora, nel '94 abbiamo fatto un grande servizio al Paese scendendo in campo e sconfiggendo i comunisti e alleandoci con la Lega, e portando nell'arco costituzionale la destra che era stata esclusa". Solo ricordi. L'attualità incombe. E il premier torna a Palazzo Chigi dove poco dopo le 16 scatta un vertice con Letta, Tremonti, Bossi, Calderoli, Romani, Alfano e Brunetta. Sul tavolo il solito complicatissimo decreto sviluppo e il rischio che qualche ministro gli possa ridere in faccia.

 

AVVISO AL COMANDANTE - Intanto i notabili del Pdl prendono carta e penna e gli scrivono una singolare letterina che sarà pubblicata domani su Il Foglio. Quindici esponenti di punta, da Renato Brunetta a Gianni Alemanno, da Roberto Formigoni ai capigruppo Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, avvertono Berlusconi di assumere misure di contrasto al declino economico e di varare la riforma elettorale nel senso auspicato dai referendari. Se non è una messa in mora, un pochino ci assomiglia.