Roma, 2 novembre 2011 - Nel giorno della commemorazione dei Defunti, la politica italiana è in grande agitazione. A partire dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, prima di essere schiacciato dalla lapide del debito pubblico, prova a rialzare le sue quotazioni in picchiata. Gran fervore mattutino tra Palazzo Grazioli e Palazzo Chigi. I ministri con portafoglio (vuoto) arrivano alla spicciolata per l'ennesimo gran consulto. Prelievo forzoso sui conti correnti o patrimoniale sui ricchi? Di questo si parla tra i programmisti-registi della stangata. Ma poco prima di cena, a chiusura dell'Ufficio di presidenza del Pdl, arriva la smentita: "Nessun prelievo forzoso e nessuna patrimoniale".

 

BRIGATA MANI IN TASCA? - La compagnia di giro del premier è sempre la stessa, ma le presenze sono a geometrie variabili. Sacconi, Brunetta e Romani, per ruolo e funzioni, sono i più assidui. Spesso, come per esempio oggi, appare anche Matteoli (Trasporti) che con La Russa rappresenta l'area ex An di governo. E poi non può mancare il leghista di guardia e di turno, generalmente Calderoli (con Bossi che si riserva il ruolo di star per le schiassate straordinarie). Poi c'è il convitato meno apprezzato ma indispensabile: Giulio Tremonti, il tesoro di casa, con chiavistello della cassaforte appeso alla cintura. Un gruppo di lavoro accigliato e tenebroso, come si conviene alla ricorrenza: sembra quasi che non sia il premier a chiamare i ministri, ma siano loro a presentarsi per senso del dovere, come si passa in ospedale a trovare un congiunto ammaccato.

 

ORE DI PAURA - Ammaccato è soprattutto il Paese, che vive una delle peggiori crisi della sua storia. Crisi economica e di rappresentanza. Fuori da Montecitorio un presidio del Popolo Viola domanda a gran voce il referendum sulla misure richieste dalla Ue, sul genere di quello - democratico e suicida - promosso nella notte dalla Grecia. Sono passate da poco le 14, quando il premier lascia Palazzo Chigi. Dentro, a discutere delle misure per il Cdm straordinario della sera restano Tremonti, Calderoli e Matteoli (in formazione triangolare e inedita). Temendo altre defezioni alla Camera dopo quella di Roberto Antonione, il premier che non "metterà mai le mani nelle tasche degli italiani" trova il tempo di incontrare e rassicurare Adolfo Urso, Andrea Ronchi e Giuseppe Scalia, gli ex fliniani tornati all'ovile, poi di nuovo incompresi e riottosi, e chissà se placati dopo il caffé con pasticcino a Palazzo Grazioli.

 

GIORNATA CONVULSA - Alle 18 - informano le agenzie di stampa - Ufficio di presidenza del Pdl per fare il punto sulla situazione della crisi internazionale e dei suoi risvolti politici (ma Tremonti non ci andrà). A seguire, intorno alle 20, Consiglio dei Ministri straordinario. Perché l'Italia non deragli, servono tempismo e misura. E Silvio Berlusconi, per non distrarsi, rinuncia al binario della Stazione Termini dov'era atteso all'arrivo del treno del Milite Ignoto nel Novantennale della traslazione da Aquileia all'Altare della Patria. Chissà come l'ha presa il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

 

LARGHE INTESE? - Napolitano, attaccato da Beppe Grillo, sta sul pezzo con attenzione. E ritenendo doveroso non farsi trovare impreparato nel caso la crisi subisse un ulteriore avvitamento,  il via a sondaggi con tutte le forze politiche. Pomeriggio di incontri: sia con il segretario del Pd, Pierluigi Bersani (che alle 15 ha riunito i vertici del partito nella sede di largo Nazareno invocando "la scossa per far uscire l'Italia dalla peggior situazione dal dopoguerra ad oggi), sia con il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, che a Montecitorio racconta: "Abbiamo detto al capo dello Stato che,  pur essendo un partito di opposizione ormai nell'imminenza di elezioni, che al più tardi saranno tra un anno e pochi mesi, siamo disponibili a prenderci la nostra dose di sacrifici ma solo affrontando contemporaneamente l'azzerata credibilità del presidente del Consiglio. Se Berlusconi non se ne va, ogni sacrificio richiesto agli italiani sarebbe inutile". Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, salirà al Colle domani. Per recitare la consueta litania: "Non c'è alternativa a questo governo".

 

SOLITO BOSSI - E la Lega che dice? Umberto Bossi commenta con una solenne pernacchia l'ipotesi di un governo Monti, poi garantisce: "Berlusconi andrà al G20 di Cannes con un decreto legge sulla famosa lettera". Cioè quella di intenti già portata a Bruxelles. Di più non gli si strappa, a parte rantoli d'autore. E la promessa che "le pensioni d'anzianità non si toccano".

 

PD IN PIAZZA - In mattinata Bersani aveva anticipato presenze e contenuti della grande manifestazione del Pd sabato 5 novembre in piazza San Giovanni: "Il nostro intento è riunire tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese per avviare insieme una ricostruzione democratica, sociale ed economica dell'Italia. Il nostro è un grande Paese. Gli italiani sono un grande popolo. Per realizzare questo obiettivo c'è bisogno di uno sforzo corale. Per questo chiediamo a tutti di venire in piazza con noi: alle diverse associazioni impegnate nella società, ai movimenti civili, a coloro che hanno a cuore il futuro degli italiani".

 

IN ARRIVO HOLLANDE - Sono già stati prenotati 14 treni, due navi, oltre 700 pullman. E insieme al segretario Pier Luigi Bersani, saranno sul palco il candidato alle presidenziali francesi François Hollande e il presidente della Spd tedesca Sigmar Gabriel "a testimoniare anche concretamente - spiega una nota del Pd - il comune cammino dei progressisti europei in vista delle elezioni che impegneranno diversi paesi e che potranno riportare l'Europa fuori dalle secche dov'è stata condotta dai governi delle destre". "Se Berlusconi va a casa è la miglior manovra tampone", è il ritornello quotidiano in casa Pd. Diversamente rivolto anche dal candidato (non ufficiale) alle primarie di opposizione, Matteo Renzi: "Berlusconi come Zapatero. Fare le riforme davvero e fissare le elezioni subito. Se non ce la fa, come credo, governo tecnico o salta tutto", dichiara il sindaco di Firenze.

 

IDV RIUNITA - Alle 13 comincia anche la riunione della direzione nazionale dell'Idv. Prima di entrare in sede, Antonio Di Pietro aveva distinto così la linea del partito scrivendo sul suo blog: ''Mi auguro che alcune delle cose scritte nella lettera alla Bce non si realizzino. Noi le riteniamo macelleria sociale. Vorrei chiarire la posizione dell'Italia dei Valori: questa idea che la lettera di Trichet e Draghi sia il Vangelo, noi la rifiutiamo. Una cosa è far quadrare i conti: lo chiede l'Unione europea e noi siamo d'accordo. Un'altra cosa è che a far quadrare i conti siano sempre i poveri cristi, i pensionati e i lavoratori: su questo noi non siamo d'accordo''. A "pagare l'emergenza - chiede Di Pietro - sia quel 10% di italiani che detiene il 60% della ricchezza e non sempre il 90% di italiani che detiene meno del 40%''.''Io non voglio fare il governo dell'emergenza a tutti i costi - aggiunge -. Questa politica europea che vuole risolvere i problemi delle banche e non i problemi dei cittadini a noi non sta bene affatto. Io sarò ben felice di dare una mano a un governo istituzionale, a patto che si facciano dei provvedimenti lacrime e sangue per la cricca, come ad esempio la riduzione del 50% dei parlamentari''. Questo dirà domani Di Pietro al Capo dello Stato.

 

EMERGENZA? NO, GRAZIE. Chi domanda le elezioni a gran voce, ma teme possano allontanarsi, è Niki Vendola. Il leader di Sel, intervistato dall'Unità, mette in guardia da soluzioni di compromesso: "L'idea del governo tecnico, di una risposta emergenziale, non risolve il problema: siamo di fronte ad una crisi lunga, strutturale, direi di modello. Quelle che vengono apparecchiate come proposte tecniche sono in assoluta continuità con le politiche economico-sociali che hanno generato la crisi. Il governo di emergenza è una strada strategicamente sbagliata e politicamente poco fondata negli attuali rapporti di forza parlamentari". Cinque-ipotesi-cinque non piacciono al leader di Sel: "Se per rispondere all'attacco speculativo si chiude a tenaglia la stretta sul welfare, se si prosegue con la retorica dell'austerità, la politica della miseria, se non si mette in piedi un'idea di politica industriale e di crescita, noi continueremo a produrre tagli su tagli senza effetti virtuosi sul debito pubblico. Il Paese, nel frattempo, salta. E rischia di saltare la coesione sociale, l'architrave del patto che tiene insieme gli italiani. Se un governo di emergenza dovesse vedere la luce - è l'ultima ipotesi che Vendola esorcizza -, il nostro atteggiamento sarà negativo".

 

IL RITORNO DI RC - E sulla linea del "no pasaran"  cerca visibilità anche l'ex fratello-coltello di Vendola, Paolo Ferrero.  Non è solo il governo Berlusconi ad essere fallito ma sono le politiche neoliberiste - dice il segertario di Rifondazione comunista -. Per questo siamo totalmente contrari ad ogni manovra di palazzo che produca un governo tecnico che sarebbe unicamente un governo dei padroni e dei banchieri. Serve un referendum sulle politiche imposte dalla Ue, come si appresta a fare la Grecia". Che, come noto dall'antichità, fa sempre e subito scuola.

 

NUOVO GOVERNO - Non la pensa così Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli alla Camera, che ai microfoni di Sky detta la linea del Terzo Polo: "La responsabilità delle opposizioni è convergere su un nuovo governo con un'ampia base parlamentare che si muova a tappe forzate nella direzione indicata dalla lettera all'Ue. Siamo pronti da subito a metterci in gioco con un nuovo governo". E il Consiglio dei ministri di stasera? Della Vedova bolla Berlusconi di irresponsabilità: guai a "cercare di realizzare le misure con un decreto che rischierebbe di non essere mai approvato, non a causa delle opposizioni ma perché la maggioranza non c'è più. Quello che bisogna ottenere nell'immediato è una tregua di sei mesi sui mercati che permetta all'Italia di riguadagnare credibilità, visto che questo esecutivo non è più credibile". "Per colpa di Berlusconi" è il pensiero consolidato dei fliniani. E un passo indietro del premier, secondo Della Vedova, varrebbe certo "più di qualche buona misura destinata a essere travolta dalla crisi di fiducia" di cui è vittima il Paese sui mercati.

 

COME LA COREA DEL NORD - Ormai, quando si parla di soldi, gli italiani possono fare la parte dei cattivi e degli inflessibili esattori (ma senza ottenere risultato alcuno, proprio come la Ue con noi) solo quando vanno in paesi come la Corea del Nord. Sentite questa. Nelle ultime ore una delegazione parlamentare italiana guidata dal senatore Mauro Del Vecchio (Pd) e composta dalla senatrice Barbara Contini (Fli) e dai deputati Antonio Razzi (Pt), Mario Barbi (Pd) e Laura Molteni (Lega) - in improbabile missione orientale - ha incontrato rappresentanti del governo comunista di Pyongyang, per chiedere la restituzione del debito contratto nel 1988, quando la Sace garantì la cessione di macchinari per l'estrazione mineraria venduti da un'azienda italiana. ''Siamo un Paese sotto sanzioni, ma cerchiamo di aprire la nostra porta agli investimenti  - ha risposto il molto onorevole viceministro degli Esteri, Kung Sok Ung -. Per questo, piuttosto che chiederci con forza il pagamento del nostro debito, è preferibile pensare a un altro modo per sviluppare al meglio le nostre future collaborazioni''. Inappuntabile: a ventitré di distanza dallo sciagurato prestito, è già tanto se, a sentire la richiesta, la controparte nordcoreana non sia scoppiata in una fragorosa risata, vista la strepitosa barzelletta raccontata in trasferta. A spese di Pantalone.