Roma, 19 gennaio 2012 - Sabato mattina, dopo aver fatto presumibilmente arrabbiare farmacisti, taxisti, avvocati, benzinai e periti assicurativi, il presidente del Consiglio Mario Monti volerà a Tripoli fresco di liberalizzazioni. E qui, nel tentativo di ristabilire un quadro di feconde relazioni italo-libiche con il primo ministro del governo provvisorio Abdel Rahim Al Kib, dopo le gaffes dell'era Berlusconi-Gheddafi e i balbettii diplomatici nella prima fase dell'insurrezione in Cirenaica - quando l'Italia dormiva mentre la Francia spediva cargo di aiuti e di manager pronti a tutto per ingraziarsi i futuri vincitori -, il presidente del Consiglio tenterà di riannodare i fili dei tanti dossier rimasti in sospeso: dal fronte energetico a quello infrastrutturale, da quello industriale a quello bancario, con la Libia al 7% di Unicredito e decisa a far la sua parte nella ricapitalizzazione.

TESTO PESANTE - Già perché il Trattato Italia-Libia di amicizia, partenariato e cooperazione firmato il 30 agosto 2008 a Bengasi, sospeso di fatto dall'Italia nel febbraio 2011 e raro esempio di asimmetria negli obblighi dei sottoscrittori, pone l'Italia nel ruolo strategico ma ambiguo del riparatore di torti coloniali, con 5 miliardi di dollari di investimenti in 20 anni (sotto controllo di Roma e con imprese italiane) ma senza alcun indennizzo per le migliaia di italiani costretti alla fuga dalla Libia ed espropriati di tutto dal regime di Gheddafi nel 1970. Nessuna data né impegno anche per i 670 milioni di crediti post 1970 vantati dalle imprese italiane, "dimenticate" nell'accordo per ragioni - soprattutto interne - di adesione all'impianto leghista di contrasto con qualsiasi mezzo all'immigrazione clandestina. Anni di pattugliamenti mediterranei congiunti e rastrellamenti desertici a cura di predoni cui il regime di Gheddafi, ricevuto con tutti gli onori a Roma, demandava il lavoro sporco.

NUOVO CORSO - Tempo tre anni scarsi e tutto è cambiato. Berlusconi sfrattato da Palazzo Chigi e Gheddafi giustiziato senza processo dagli insorti. Ma il Trattato di amicizia ora reclama una nuova agenda. Perché Italia e Libia, dalle guerre coloniali in poi, passando per i missili a Lampedusa e le tende beduine a Villa Borghese, sono geograficamente predestinate a confrontarsi. E su temi non solo economici.

PRIORITA' DIRITTI UMANI - Anzi, proprio l'omicidio in diretta di Gheddafi e la complessa transizione libica, tra derive tribali, spinte islamiste e aperture internazionali che le diplomazie internazionali sottopongono a costante verifica, riporta in primo piano quel dossier sui diritti umani che il Trattato del 2008 aveva platealmente emarginato. Questioni fondamentali che domandano con insistenza il centro della scena.

UNA LETTERA FORTE - Così oggi Amnesty International ha scritto al premier una lettera non rituale nella quale invita il premier - reduce dai successi di Londra - a inequivoche raccomandazioni al nuovo governo libico "sulla situazione dei diritti umani in Libia e sulla tutela dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo". Per favorire "profonde riforme" in Libia  - è il testo della missiva a Palazzo Chigi -, "Amnesty International sollecita il governo italiano ad assicurarsi che il rispetto dei diritti umani e la responsabilità per le violazioni dei diritti umani permeino tutte le discussioni con le autorità libiche, nonché a offrire assistenza nello sviluppo e nell’attuazione di un programma globale di riforme nel campo dei diritti umani nel Paese".

STOP ALLA TORTURA - Secondo Amnesty, l'agenda è chiara: "Il governo italiano dovrebbe incoraggiare le autorità libiche, ad adottare le misure necessarie per abolire la pena di morte; a riformare i settori della sicurezza e delle forze di polizia, così come il sistema giudiziario penale; a porre fine agli arresti arbitrari e garantire che i detenuti abbiano accesso a un avvocato; a sradicare la tortura e gli altri trattamenti, disumani e degradanti; a porre fine a qualsiasi tipo di discriminazione e adottare misure concrete per proteggere da violenza, minacce, intimidazioni e abusi coloro che sono sospettati di essere migranti irregolari; a ratificare la Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e il suo Protocollo del 1967 e cooperare pienamente con l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati".

'BASTA RESPINGIMENTI' - Non è tutto. "Riguardo alla cooperazione in materia d’immigrazione tra Italia e Libia, Amnesty International chiede al governo italiano di desistere dal condurre qualsiasi operazione di ‘respingimento’ (rinvio forzato) in mare verso la Libia o di cooperazione con la Libia nell’intercettare migranti e respingerli; mettere da parte il Memorandum d’intesa sul ‘controllo delle migrazioni’, firmato con il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) il 17 giugno 2011, fino a una revisione approfondita dell’incidenza sui diritti umani degli accordi firmati dai due paesi in questo settore, e finché non siano state introdotte le necessarie modifiche, al fine di garantire che il controllo dell’immigrazione non abbia mai luogo a spese dei diritti umani (...) e che sia coerente con il diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale dei rifugiati".

RICADUTE A PALAZZO - Richieste circostanziate e pesanti che Monti farà bene a non sottovalutare. Anche in chiave di politica interna. Proprio ieri, infatti, a Montecitorio il Governo è stato battuto due volte su mozioni di Idv e Radicali (appoggiate anche dal Pd): entrambe riguardavano la piena conformità al diritto internazionale delle operazioni di contrasto in Libia all'immigrazione clandestina e il pressing diplomatico su Tripoli per la ratifica della Convenzione di Ginevra sullo status dei "rifugiati". Due mozioni sulle quali il governo, inspiegabilmente, si era espresso contro. Una lezione salutare. Neppure i governi tecnici vivono di sola economia.