Se due indizi fanno una prova... tre indizi sono una verità storica: Pierluigi Bersani non è più il segretario del Pd. Certo, nell’organigramma c’è ancora lui, alle riunioni tra i segretari della maggioranza partecipa Bersani insieme a Casini e Alfano....

Ma Bersani non controlla più il partito, non lo indirizza, anzi pare quasi che l’unico potere che gli sia rimasto sia sempre quello di indovinare la parte perdente. Così dopo Milano quando vinse il candidato degli altri, Pisapia, dopo Genova in cui le due contendenti targate Pd si sono fatte la guerra e hanno fatto prevalere il vendoliano Doria, ecco Palermo, città in cui il segrtetario Pd, pur di andare sul sicuro e non rischiare un altro ko interno, aveva puntato tutto su una candidata non «sua» e condivisa dagli altri... e invece sappiamo tutti com’è andata.

Segno di una leadership debole, che non ha più il polso del partito altrimenti non lo avrebbe condotto nelle secche in cui si trova adesso, e segno di una incapacità di leggere la dinamica politica che si sta profilando.  Nel momento più basso della popolarità della stessa forma partito, quando solo otto cittadini su cento danno fiducia ai partiti, ecco che il Pd punta sul partito vecchia maniera: tessere, iscritti, congressi, sezioni.... Tutte cose buone, intendiamoci, perché alla fine la politica qualcuno la deve pur fare, ma semplicemente passate di moda. Bene? Male? Giusto? Ingiusto? In politica il bene/male e il giusto/sbagliato sono categorie che da sole non servono a leggere la realtà. In primis viene quella del tempismo: una cosa che andava bene dieci o cinque anni fa oggi non va più bene, e viceversa. La capacità di capire i tempi, e spesso di precederli, è ciò che fa la differenza.

Pierfrancesco De Robertis