di Gabriele Moroni

Milano, 6 aprile 2012 - Dice il suo "no" in una giornata dove il misticismo pasquale si mescola alla più laica delle contestazioni, fra le grida di "Bos-si", bisillabo tante volte scandito da folle osannanti, e le invettive di "Giuda" scagliate contro i "traditori" del capo, del patriarca, del demiurgo che ha costruito il sogno della gens padana.

"Mi dimetto per il bene del movimento e dei militanti. La priorità è il bene della Lega e continuare la battaglia". La voce che più che mai pare uscire dai meadri di chissà quali caverne. "Decisione irrevocabile", scandisce. In molti piangono al consiglio federale. È un condottiero stanco. Misura una sconfitta personale. I colonnelli gli hanno gettato in faccia le verità più crude. Gli dicono che è tutto vero, che sono vere le contestazioni degli inquirenti sui soldi della Lega per ristrutturare la casa di Gemonio o per la Bmw del figlio, Renzo il Trota. È incredulo. Muto. Afferra il telefono, cerca Renzo.

Poi decide per il confronto vis-a-vis. Ruggisce ancora all’uscita da via Bellerio dopo una segreteria politica più penosa di una via crucis. "Se ci sono traditori interni, gli taglierò la testa", ma è un ruggito stanco, prima di precipitarsi a Gemonio, in quel villino color ocra, dalla sua famiglia, da Manuela, dai figli, che l’inchiesta lambisce pesantemente. Famiglia che diventa "Family" sulla cartelletta delle indagini sul tesoriere Francesco Belsito. "Se qualcuno ha sbagliato pagherà, qualunque cognome porti", aggiunge, per poi ripetere come un mantra che lui e la famiglia non c’entrano, sono estranei.

ASCESA al Calvario, discesa agli inferi. Il consiglio federale è fissato per quattro del pomeriggio. Bossi è lì tre ore prima, sigaro "Garibaldi" fra le labbra, "sereno", dicono. All’esterno filtra il sussurro di un abbraccio fra lui e Maroni. Si allontana quando sono passate le sette di sera. Fra gli applausi, gli "Umberto" che gli vengono lanciati, i "Resisti", i "Non dimetterti".

Un Bossi vacillante. È lontana l’immagine del ragazzo magro e dinoccolato, chiuso nell’impermeabile stazzonato, che animato da quella che ai più pareva lucida follia distribuiva volantini sui sedili di legno dei treni delle Ferrovie Nord. Nato a Cassano Magnago, laboriosa provincia varesina, classe 1941. "Ho fatto — sintetizza autobiograficamente — l’operaio, il perito tecnico, ho lavorato nell’informatica, ho studiato medicina a Pavia, ho insegnato matematica e fisica".

Di concreto c’è il diploma di perito elettronico alla scuola per corrispondenza "Radio Elettra". Pare il ritratto di un "balabiott", uno spiantato, un tipo da bar o da balera visto che gli piace cantare e nel 1961, nome d’arte Donato, tenta la fortuna fra le voci nuove di Castrocaro e incide un 45 giri. La politica è in agguato. Nel 1979, studente fuori corso di medicina a Pavia, legge all’ingresso della facoltà un manifesto dell’Union Valdotaine. Attacca un bottone con Bruno Salvadori, uno dei capi del movimento. È la sua via di Damasco.

La Lega autonomista lombarda viene battezzata il 12 aprile 1984 nello studio del notaio varesino Franca Bellorini. Alle politiche del 1987 l’Umberto da Cassano Magnago viene eletto al Senato: è il senatur. Sono gli anni della guerra a "Roma ladrona", della canottiera, del "celodurismo", delle pernacchie, degli indici tesi a perforare il cielo del perbenismo. Nel 1989 nasce la Lega Nord che due anni dopo è il quarto partito nazionale, la prima forza politica del Nord.

Mentre Tangentopoli divora la Prima Repubblica, il Carroccio si radica sul territorio. Bossi dispensa sogni come quello di una secessione che non verrà mai. Nel 2001 nasce la Casa delle Libertà, vittoriosa alle politiche. Bossi è ministro per le riforme istituzionali, può schiacciare l’acceleratore per devolution e federalismo.
Il colpo di maglio dell’ictus lo abbatte la mattina dell’11 marzo 2004. La forza dell’uomo esce nei mesi terribili di una riabilitazione, fra sofferenze fisiche indicibili.
È la moglie Manuela a decidere chi ammettere al capezzale del leader malato. Dalla cortina protettiva si forma il "cerchio magico". Quando Bossi può riprendere a vivere ne è ormai prigioniero.