Roma, 24 aprile 2012 - Già il titolo è impegnativo: ‘Scelta e pregiudizio: discriminazione contro i musulmani in Europa’. Lo svoglimento? Necessariamente articolato. L'ultimo rapporto di Amnesty International illustra "l'impatto negativo della discriminazione nei confronti dei musulmani, basata sulla loro religione o sulle loro credenze, su diversi aspetti della loro vita, compresa l'occupazione e l'istruzione".

CASE HISTORY - "I musulmani sono ritenuti responsabili di ciò che accade in Medio Oriente e Africa del Nord. La gente mi ha insultato per strada o ha fatto commenti sgradevoli. Un uomo si è messo a gridare contro di me dicendo che avrei dovuto togliermi il velo. Sono cresciuta in Svizzera e credo che questo sia il mio paese. Non capisco perché gli altri cittadini si arrogano il diritto di trattarmi in questo modo". In questa dichiarazione di una cittadina svizzera di religione islamica, protettat nella sua identità, Amnesty rileva uno dei classici stereotipi che turbano la vita di milioni di musulmani euroepei.

PROBLEMA LOOK - "Per il solo fatto d’indossare abiti tradizionali, come ad esempio il velo, alle donne musulmane viene negato un posto di lavoro e alle ragazze viene impedito di seguire regolarmente le lezioni a scuola. Gli uomini invece possono essere licenziati perché hanno la barba - dichiara Marco Perolini, esperto di Amnesty International sulla discriminazione -. Invece di contrastare questi pregiudizi, i partiti politici e i funzionari pubblici troppo spesso li assecondano nella ricerca del consenso elettorale".

EUROPA INVOLUTA - Il rapporto si concentra su Belgio, Francia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera, dove Amnesty International ha già sollevato alcuni problemi, tra cui le limitazioni all’edificazione di luoghi di culto e il divieto di indossare il velo integrale. Il rapporto documenta numerosi casi di singole discriminazioni in tutti i paesi interessati.

LIBERTA' RELIGIONE - "Indossare simboli e abiti religiosi e culturali fa parte del diritto alla libertà di espressione, del diritto alla libertà di religione e di credo. Questi diritti devono essere goduti dalle persone di ogni fede, allo stesso modo - afferma Perolini - Mentre tutti hanno il diritto di esprimere la loro cultura, che si tratti di tradizione o fede, indossando un abito specifico, nessuna persona dovrebbe subire pressioni o essere costretto a farlo. Divieti generali nei confronti di specifici tipi di abbigliamento violano i diritti di coloro che scelgono liberamente di vestirsi in un certo modo e non aiutano chi è costretto a farlo contro la sua volonta’’.

GOVERNI INATTIVI - Il rapporto di Amnesty International evidenzia la mancanza di un'adeguata applicazione delle norme che vietano la discriminazione in materia di occupazione in Belgio, Francia e Paesi Bassi. I datori di lavoro sono autorizzati a discriminare sulla base del fatto che simboli religiosi o culturali creeranno problemi coi clienti o coi colleghi o che risulteranno in contrasto con l'immagine aziendale o la sua neutralità’’. Questa situazione - secondo Amnesty - è in contrasto con la legislazione antidiscriminazione dell'Unione europea, che consente trattamenti differenziati in materia di occupazione solo se espressamente richiesti dalla natura dell’impiego.

NO AL VELO - Nell'ultimo decennio in molti paesi, tra cui la Spagna, la Francia, il Belgio, la Svizzera e i Paesi Bassi, nelle scuole è stato proibito di indossare il velo o qualsiasi altro abito religioso e tradizionale. "Qualsiasi restrizione relativa al fatto di indossare simboli religiosi e culturali nelle scuole deve essere basata sulla valutazione delle esigenze di ogni singolo caso. Divieti generali possono incidere negativamente".
 

MOSCHEE VIETATE - Anche il diritto di istituire luoghi di culto è un elemento fondamentale del diritto alla libertà di religione o di credo: un diritto spesso leso. "Dal 2010, la Costituzione svizzera vieta specificamente ai musulmani di costruire minareti, incorporando così gli stereotipi anti-islamici e violando gli obblighi internazionali che la Svizzera è tenuta a rispettare, mentre nella regione spagnola della Catalogna, i musulmani devono pregare in strada perché le sale di preghiera esistenti sono troppo piccole per accogliere tutti i fedeli". E le autorità non acconsentono alla creazione di nuove moschee. "Questo atteggiamento - conclude Parolini - sta generando violazioni dei diritti umani e deve essere contrastato".