Milano, 26 aprile 2012 - Ha affermato di non essere ‘’un tecnico di sanita’’’ ma di essere esperto nella frequentazione ormai da 34 anni di tutti i meandri regionali per quanto riguarda la sanità" Pierangelo Daccò, l’uomo d’affari già in carcere per il caso San Raffaele e che di recente ha ricevuto un nuovo provvedimento di arresto nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Maugeri.

Daccò, nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Vincenzo Tutinelli, ha ammesso di aver ricevuto 70 milioni in consulenze dall’ente con sede a Pavia per progetti di ricerca scientifica ritenuti fittizi dagli inquirenti. E rispondendo a una domanda del pm Antonio Pastore, uno dei titolari dell’inchiesta, ha riconosciuto: ‘’Non sono un esperto, un tecnico di sanità. Sono un esperto (...) nella frequentazione da ormai 34 anni di tutti i meandri regionali per quanto riguarda la sanità e sì, so cosa bisogna fare, come intervenire, quando intervenire...’’.

"AVEVO REFERENTI IMPORTANTI A ROMA" - Pierangelo Daccò aveva referenti importanti non solo alla Regione Lombardia o in Sicilia, ma anche a Roma e quando aveva bisogno poteva rivolgersi a loro. Daccò nello spiegare ai magistrati il suo lavoro di ‘lobbysta’, come lo definiscono i suoi legali, ha spiegato: ‘’Io non avevo necessità del ministero, perché il ministero a livello centrale (...) sulle Regioni poco conta. E quando avevo bisogno di qualcuno, avevo referenti politici importanti a Roma e potevo rivolgermi a loro’’. Rispondendo al gip Tutinelli, Daccò ha aggiunto: ‘’In particolare, negli ultimi anni, adesso purtroppo è andato in cielo anche lui, era il senatore Comincioli del Pdl (...) e altri, avevo Miccichè, che è un amico; Pippo Fallica, che è un altro amico’’. Questi ultimi due ‘’assieme a Cammarata e Cuffaro’’, ha spiegato ancora l’uomo d’affari, erano i suoi punti di riferimento per ‘’gli affari in Sicilia’’.

IL RAPPORTO CON LUCCHINA - L'uomo d'affari ha poi spiegato ai magistrati che, per risolvere i problemi in Regione Lombardia per conto della stessa fondazione, insisteva con ‘’il direttore generale’’ dell’assessorato alla Sanità, e ‘’anche a lui davo un pacco a Natale e colomba a Pasqua’’. Nel verbale di Daccò, depositato dai pm al tribunale del riesame, emerge che l’imprenditore (vicino anche al governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, al quale, come risulta dagli atti, avrebbe pagato anche sontuose vacanze caraibiche) nell’ambito della sua attivita’ di ‘lobbista’, come dicono i suoi legali, andava ad insistere con il direttore generale di turno dell’assessorato alla Sanita’.

‘’E poi al limite mi... - prosegue l’interrogatorio - come dire, dirottava, perché non ne poteva più al... anche a lui davo un pacco a Natale e una colomba a Pasqua. Addirittura, c'è stato un anno o forse due che li ha rifiutati, perché c’era aria che non si poteva più dare il pacco con dentro il vino, i fichi secchi, il panettone’’. Daccò ha poi precisato: ‘’Lucchina (l’attuale direttore generale della Sanità, ndr) me l’ha mandato indietro due anni, gli altri (direttori generali, Ndr) no. Poi dopo l’ha ripreso’’. Ha inoltre aggiunto che all’interno della Regione Lombardia ha ‘’sempre avuto un tecnico di riferimento’’. E rispondendo ad una precisa domanda del gip Vincenzo Tutinelli, ha precisato: ‘’In questo caso, negli ultimi anni, e’ il dottor Merlino, che è il braccio destro del dottor Lucchina’’. Alla domanda: “Ha mai dato denaro a soggetti collegati alla Regione Lombardia?”, Daccò ha risposto: “Io in vita mia non ho mai dato denaro a nessuno, se non purtroppo a una persona che non c'è piu’”.

FATEBENEFRATELLI E LIGRESTI - “Scusi, ma lei quante società ha?”, chiede il gip di Milano Vincenzo Tutinelli. E Daccò gli risponde: “non lo so”. L'indagato ammette di aver preso soldi anche “dal Fatebenefratelli” e “dalla clinica di Ligresti” e indica da quali “altre strutture operanti nella sanità in Lombardia o altrove” ha “ricevuto altro denaro”. Se con il Fatebenefratelli avrebbe collaborato nel 2002, e non ha specificato per quale cifra, dalla non meglio definita clinica di Ligresti avrebbe ricevuto nel 1990 “ottanta milioni” di lire “per una cosa che non mi ricordo”. Solo in un momento successivo dell’interrogatorio Daccò ricorda: “Sì. Sì. E poi c’è stata una...; come dire, uno spot per il dottor Antonio Ligresti, quando c’è stato il problema della camera iperbarica al Galeazzi”. Il “problema” è l’incendio che il 31 ottobre 1997 ha causato la morte di dieci pazienti e un infermiere, e per il quale Antonino Ligresti è stato infine condannato a 3 anni di carcere per concorso in omicidio colposo plurimo e omissione delle norme sulla sicurezza.

MICCICHE' E FALLICA: MAI AVUTI RAPPORTI D'AFFARI CON DACCO' - “Non neghiamo la conoscenza di Pierangelo Daccò, tuttavia smentiamo categoricamente di averci mai fatto ‘affari’”. Lo affermano, in una nota congiunta, il leader di Grande Sud Gianfranco Miccichè e il parlamentare nazionale Pippo Fallica.

SAN RAFFAELE, LA CASSAZIONE ANNULLA LA CUSTODIA CAUTELARE - La Cassazione ha disposto un nuovo esame nei confronti di Pierangelo Daccò, l’intermediario di affari in campo sanitario, arrestato nell’ambito del crac del {{WIKILINK}}San Raffaele{{/WIKILINK}} di Milano. In particolare, la Suprema Corte nelle motivazioni contenute nella sentenza 16000 spiega che il gip del Tribunale di Milano, il 19 novembre 2011, ha “omesso di motivare” se Daccò fosse “consapevole dello stato di ‘grave crisi’ della Fondazione da cui aveva ricevuto le cospicue somme di denaro indicate nell’imputazione”.

Daccò è finito in carcere per bancarotta fraudolenta in relazione al crac del San Raffaele. Ora la Quinta sezione penale, accogliendo il ricorso della difesa del commercialista, ha disposto un nuovo esame davanti al Tribunale di Milano. Piazza Cavour ritiene “meritevole di un esame piu’ approfondito l’aspetto, che non risulta concretamente sviluppato dai giudici del merito, dell’esistenza del dolo del concorrente ‘extraneus’ nell’ambito del contestato reato proprio di bancarotta per distrazione”. La Cassazione ricorda che “oggetto della vicenda è la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo al percettore quale concorrente ‘extraneus’ nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, di determinate somme versate dall’imprenditore che, successivamente, sia stato ammesso al concordato preventivo”. La Suprema Corte spiega che “tratto saliente della nozione di ‘distrazione fraudolenta’ in sè comporta la consapevole e ingiustificata esposizione a repentaglio delle ragioni dei creditori”.

Insomma, il giudice, cosa che non e’ stata fatta, “per una corretta valutazione della posizione dell’’extraneus’, deve giovarsi di una rigorosa dimostrazione del sufficiente contenuto rappresentativo dell’emento psicologico, focalizzato sul concreto rischio di insolvenza, anche se non qualificato da una specifica volonta’ di cagionare danno ai creditori dell’imprenditore”.