Roma, 6 maggio 2012 - Casini ha dichiarato di voler chiedere un appuntamento a Bersani e a Berlusconi. Domanda: vogliono sostenere il governo o ne preparano la caduta? Fibrillazioni preelettorali. Ci sono anche queste, ma la questione è più complessa.

Intanto, perché l’appuntamento c’è già per il 9 maggio, quando il trio s’incontrerà per discutere della nuova legge elettorale. Qui sorgono i problemi. Quando Alfano dice che non si può restituire ai cittadini il diritto di scegliere deputati e senatori togliendo loro il diritto di scegliere il premier mette il dito nella piaga.

Come si fa senza il premio di coalizione e senza costringere i partiti ad alleanze preelettorali? In parole povere, come si fa senza fare tutto ciò che Casini non vuole, ossia scegliere l’alleato prima del voto? Il resto segue. Casini tace sul punto e si ritaglia il ruolo di vestale del governo, sperando che il ponte fra tecnici e politici sopravviva al 2013 e gli riservi la centralità che insegue da anni. Quindi, il conflitto ruota attorno all’Imu, che è la tassa più odiata.

Alfano rilancia con l’abolizione sulla prima casa e Bersani con la riduzione, traendo il gettito mancante dai grandi patrimoni immobiliari. Facile (e popolare) a dirsi, ma più difficile a farsi. Il tutto con la conseguenza di isolare Monti che, a questo punto, conserva solo la spalla certa di Casini che dice: sarebbe bello ma non si può.

Fino a quando si va avanti? A dopodomani o al 2013? Berlusconi e Bersani dicono di non volere le elezioni anticipate. Il primo, che si confronta con un’opinione pubblica più avversa a Monti, è bloccato dalla certezza di perdere.

Guadagna tempo, magari sperando che la Lega si ravveda. Il secondo, che ha la tentazione quotidiana di mettere all’incasso i nuovi rapporti di forza, per ora tiene duro perché Napolitano lo tira per la giacchetta e perché è convinto di vincere comunque nel 2013.

E da martedì? Dipende. Se per PdL e Pd dovesse essere una débâcle, la guerra di logoramento subirà un’accelerazione, con esiti imprevedibili e, di certo, la paralisi del governo.

Se le perdite dovessero essere contenute, il governo avrà più chances di sopravvivenza. Ma sopravvivere non significa governare, che è ciò di cui l’Italia ha bisogno. Il governo ha fatto i suoi errori: dagli esodati allo sfilacciamento sulla riforma del mercato del lavoro alla nomina di altri tecnici per il taglio della spesa pubblica. Ma è quanto di meglio disponibile e i partiti, ripetiamo ancora, debbono essere responsabili nel sostenerlo e farlo lavorare. Nell’interesse di tutti.