Disgrazia vuole che il tonante “Via da Roma”, con cui Maroni ha preso le redini della Lega, abbia coinciso con la floscezza degli Azzurri sul filo del traguardo del campionato d’Europa. Certo, una partita è solo una partita, ma si dà il caso che la fatale sfida di Kiev sia stata imbottita di significati scaramantici. Enfatizzati dalla presenza eccezionale del premier Monti — legittimamente a caccia di popolarità — e dal preannunciato appuntamento al Quirinale per i nostri campioni. Come se la posta in palio non fosse una coppa, pur prestigiosa, ma la ripresa dello spirito pubblico, oppresso da un intollerabile deficit di futuro. Tant’è che ci si sente in dovere di mettercela tutta per valorizzare la conquista del secondo posto in classifica. Magra consolazione. Come si dice a Siena: «Se non vinci il Palio, lo perdi». È un’altra delusione, inanellata alla serie nera delle frustrazioni nazionali, che non dispone gli animi una visione ottimistica del futuro. Si può solo sperare che l’intesa abbozzata a Bruxelles sullo scudo europeo, che dovrebbe ammortizzare le mazzate dello spread sui nostri conti pubblici, regga per davvero alla prova dei mercati finanziari. È quello che ci auguriamo tutti, forse anche chi fa scelte politiche che sono una scommessa sulla catastrofe.

È il caso della Lega di Maroni, che si affida al rilancio della vocazione secessionista delle origini per recuperare senso e consenso. Oggi può farlo, perché la fine del patto di governo con il partito di Berlusconi le lascia le briglie sul collo, e anche perché non ha più nulla da perdere. Nella caduta rovinosa del mito della sua diversità, impersonata da Bossi, ha perso la faccia, nonché buona parte delle posizioni di potere acquisite al Nord e molti voti di protesta tracimati nello scolmatore di Beppe Grillo.

La risalita si annuncia difficoltosa, ma non impossibile. A differenza del partito di Berlusconi, è riuscito alla Lega di riempire il vuoto lasciato dalla caduta del suo leader carismatico. Inoltre, l’appello alla “questione settentrionale”, cioè agli egoismi dissociativi del Nord produttivo, portato a credersi scippato di un ricco destino “bavarese” dalla pressione fiscale dovuta alle arretratezze meridionali, è in sintonia con un destino mondiale di “perdita di patria”. Gli Stati nazionali cedono ad aggregazioni neo-imperiali connesse sul piano economico e finanziario. Non per nulla il “quarto Reich” della signora Merkel già abbraccia una folta schiera di Stati clienti del Nord e dell’Est europei. Una tentazione virtuale, per il Lombardo-Veneto. Confidare nel patriottismo sportivo come surrogato dell’esistenza politica del Paese, è chiedere troppo al dio del pallone.