di Nuccio Natoli

Roma, 30 luglio 2012 - Tanti piccoli ruscelli formano il grande fiume. La spesa pubblica italiana ne è la prova. E’ maestoso per dimensioni il nostro grande fiume. Panta rei e inghiotte oltre il 50% dell’intero prodotto interno lordo (Pil) italiano. Può sembrare roba da poco. Tradotto in cifre fa impressione: oltre 800 miliardi di euro l’anno. Pensioni, sanità, dipendenti pubblici, hanno sempre il dito puntato contro

In realtà esiste una sorta di universo parallelo di cui non si parla mai. Sono gli enti (società, consorzi, eccetera) che fanno capo a Regioni, Province e Comuni. Il numero totale fa impressione: 3.127. Nel conto non ci sono gli enti statali. Quindi sono tutti ruscelli che direttamente, o indirettamente, contribuiscono a formare il grande fiume. L’ironia è che a sollevare il velo è stata l’Unione delle Province (Upi) suggerendo che proprio lì potrebbe esserci tanto da tagliare. I dati sono tutti ufficiali, divisi per regioni e pubblicati sul sito del ministero del Tesoro nel 2009. A parte il fatto che per scovarli serve una navigazione così complessa che creerebbe imbarazzo a chiunque, c’era la promessa che i dati sarebbero stati aggiornati ogni due anni. Nel 2011 non è stato fatto. Perché? Il panorama è diventato ancora più ampio? Troppo rischioso sollevare certi veli? Se qualcuno ha voglia di informarsi, o indignarsi, la rotta esatta da seguire è: http://www.dps.tesoro.it/cpt/cpt_monografie.asp.

Resta il fatto che 3.217 enti, pubblici o partecipati da un’amministrazione pubblica, significano come minimo 3.217 presidenti, altrettanti vicepresidenti, un numero indefinito di amministratori delegati e consigli di amministrazione (categorie tutte di rigorosa nomina politica), e giù, giù. Quale possa essere il totale anche Einstein avrebbe difficoltà a calcolarlo. In termini di soldi, l’ufficio studi del Senato ha calcolato che per i consigli di amministrazione se ne vanno 2,5-3 miliardi di euro l’anno, aggiungendo dipendenti, affitti, bollette, eccetera si sale fino a 7-8 miliardi. Si dirà: servono a fare funzionare gli enti locali che danno servizi utili ai cittadini. Per un buon numero di essi la risposta è sì.

Ma per tanti altri? Perché deve vivere di soldi pubblici il Centro piemontese di studi africani? O un istituto per le piante da legno? O un centro di documentazione della storia della psichiatria? E non manca la scuola di vela in Liguria. Mentre in Veneto c’è pure un istituto per ‘la conservazione della gondola e del gondoliere’. Che fa? Iberna i gondolieri? Abbondano pure le fondazioni. Ce ne sono di ogni tipo e per tutti i gusti compresa quella per lo studio ‘transfrontaliero del Complico e Sappada’.
A ogni pagina (in totale sono circa duemila) si trova almeno una sorpresa. Le università sembrano non bastare, tanto che abbondano gli enti ‘per il diritto allo studio universitario’. Oltre alle ‘agenzie’, spiccano in gran numero le Srl e le Spa con tanti bei nomi all’insegna della fantasia che, però, rendono impossibile capire che cosa facciano davvero. A spulciare ci sarebbe da divertirsi, se non fosse che dalle Alpi a Lampedusa, scorre il terrore che l’Italia pieghi le ginocchia. Mentre, si capisce bene perché a ridere siano i signori dello spread.

Nel suo lavoro certosino il ministero del Tesoro ha anche diviso per categorie i 3.217 ruscelli del grande fiume della spesa pubblica: 266 sono enti, 507 consorzi, 407 aziende e 1.947 società partecipate. E tutti, chi più chi meno, chi serve davvero e chi no, sono foraggiati con soldi pubblici. A suo modo è sorprendente l’entità dei consorzi. Quasi la metà sono consorzi di bonifica. Ce ne sono in tutte le regioni.

Uno straniero che leggesse questi numeri si convincerebbe che l’Italia sia un paese tutto palude, che la bonifica della pianura pontina durante il ventennio fascista, o quella delle valli venete negli anni cinquanta siano ancora da finire. La Toscana, ad esempio, la immaginerebbe come il paradiso delle zanzare, visto che sono in attività addirittura 13 consorzi di bonifica. Per non farci mancare nulla aggiungiamo che ai consorzi di bonifica i cittadini del luogo devono pagare pure un balzello ad hoc. Guareschi le chiamerebbe le ‘storie del grande fiume’.