ROMA, 24 settembre 2012 - È LA GRANDE abbuffata, uno dei modi con cui la Casta nutre se stessa e i propri adepti. Si chiamano consulenze. Un nome innocuo, anche forbitamente asettico, che identifica la montagna di denaro che ogni anno esce dalle casse pubbliche per finire in mille rivoli diversi. Una cifra che non è facile fotografare, ma che la Corte dei Conti ha ipotizzato essere, nel 2010, intorno ai due miliardi di euro. Spesso per motivazioni valide, molte altre per ragioni meno nobili e quasi sempre oscure. E’ il modo in cui sia i consigli sia i governi regionali (ma le consulenze le affidano pure comuni e province) si assicurano prestazioni esterne all’ente, che vengono assegnate per chiamata diretta e di cui di fatto non si è chiamati a fornire troppe spiegazioni. Ogni tanto ci pensa la Corte dei conti a fare dei controlli, come è accaduto qualche settimana fa in Sicilia, dove la procura regionale della Corte ha avviato un’inchiesta sulle ultime consulenze assegnate da Lombardo. La cifra in questione è di 1,2 milioni di euro solo nel 2011, e pare che tra i consulenti assoldati ci fosse anche un trombettista e un suonatore di piano bar.

IN EPOCA di spending review il ministero della Funzione pubblica ha iniziato a censire le consulenze, e pubblicarle nel sito, ma il flusso di soldi continua, pur in misura minore, e soprattutto il ministero non ha avuto la forza di imporre drastici divieti, o per lo meno di varare una normativa più severa. Come per esempio prevede l’unico progetto di legge in materia presente in parlamento, quello di Antonio Borghesi dell’Idv, secondo cui le consulenze devono sempre essere preventivamente autorizzate dal proprio ente di riferimento.
E in attesa che qualcuno finalmente regoli la questione (se ci riuscirà, perché le Regioni accamperanno fino alla fine la propria autonomia) dai conti pubblici continuano a uscire centinaia e centinaia di milioni di euro. Spesso per incarichi di poco conto, a volte solo migliaia di euro, che proprio per questo sollevano più di un interrogativo circa la loro utilità. Saranno stati per esempio indispensabili quei 277 euro spesi dalla Campania per pagare un esperto in grado di «riconoscere le capacità organolettiche del salame», 2.460 euro stanziati sempre dalla Campania per un «collaudatore di opere abusive»? O i 14mila euro elargiti dal Trentino per tradurre un film dal tedesco, 49mila dalla Valle d’Aosta per uno studio sulla lepre valdostana? L’elenco è inifinito, e anche divertente.
Il Friuli paga per uno studio sulla trota fario, il Piemonte per dei tecnici che guardino la tv e monitorino i programmi regionali, la Liguria ha stanziato 10mila euro per uno studio che individui i metodi migliori a meccanizzare la raccolta dell’aglio, il Veneto ha chiesto uno studio per contare le dune di Rosolina. Tutte operazioni che il più delle volte o sono inutili o potevano essere svolte da professionalità interne (perché in Regione i dipendenti non mancano).

MA LE REGIONI le consulenze non le vogliono mollare. Perché a volte sono in effetti utili, molte altre volte perché servono a ripagare qualche favore, a far lavorare qualcuno, a stabilire dei rapporti o a farsi degli amici.

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