Giovanni Giolitti aveva una regola: cadere per mano della destra e salvare l’asse con la sinistra. Cominciò così nel 1893 presentando un progetto di riforma tributaria che avrebbe introdotto la progressività delle imposte. E continuò quando possibile. Nell’ultimo Monti non c’era, forse, questo disegno. Ma Berlusconi e il suo fedele esecutore Alfano lo hanno servito. Facendogli un grande piacere. Monti è caduto a destra e ne coglie il vantaggio da quel consumato politico che è. Sa che dopo il 24 febbraio i giochi si faranno a sinistra e si contiene di conseguenza. Ieri ha polemizzato almeno cinque volte col Cavaliere, con Alfano e col seguito.

Ha accusato Angelino di leggerezza nell’uso delle parole e di avere provocato la crisi. Ha tacciato di demagogia Berlusconi sull’abolizione dell’Imu. Ha replicato a Brunetta e a Tremonti su spread e appiattimento dell’Italia sui desiderata di Berlino. E via dicendo. Poi ha sciorinato una serie di punti di programma fatti apposta per lanciare il ponte a sinistra: falso in bilancio; prescrizione; intercettazioni e conflitto d’interesse. Tutte questioni care alla sinistra e sulle quali Monti doveva andare con la mano leggera, finché era in carica. Bersani ha subito colto la palla al balzo dicendo che il Pd ci sta lavorando da anni «con proposte precise». Certo Monti non ha tralasciato le critiche a sinistra. Ha tacciato Vendola di conservatorismo rovesciando in modo speculare quanto dichiarato nei suoi confronti dal leader di Sel.

E ha ravvisato nel Pd almeno due anime. Quella che si riconosce nell’Agenda Monti, fatta di rigore e liberalizzazioni che si coniugano con equità. E quella dei Fassina e della Cgil di Susanna Camusso che pensano di rovesciarla. Ha fatto di nuovo propria la lezione di Giolitti per il quale dialogare a sinistra non era dialogare con tutti, ma distinguere. Giolitti abbracciava Turati per isolare i massimalisti, mentre Monti tende la mano a Bersani per separarlo dalla sinistra intransigente. Non con la forza dei numeri in Parlamento, come Giolitti, che Monti non avrà, ma con quella delle regole che partono da Bruxelles e arrivano a Roma. Facendosene l’interprete autentico e il garante. Non cerca voti nella mischia. Ma dà i voti per fare venire Bersani a Canossa. Il resto, sia Palazzo Chigi o il Quirinale, può seguire. Forse.

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