Roma, 30 gennaio 2013 - Ci manca solo che si mettano le mani addosso. Per essere magistrati (in servizio, in aspettativa o pronti per la pensione) non è che Ilda Boccassini, Antonio Ingroia e Piero Grasso stiano dando in queste ore uno straordinario esempio di correttezza e di temperanza dialettica. Anzi, il partito dei giudici sgomita nelle home page di tutti i principali siti di informazione con cordialità sempre nuove che rubano il set ai primattori e ai caratteristi della politica, a questo punto seriamente preoccupati per l'invasione di campo.  

Aveva cominciato domenica - non senza qualche ragione - Antonio Ingroia, rammaricandosi per l'ostilità di molti presidenti di Corte d'appello che all'apertura dell'anno giudiziario, anziché concentrarsi su repressione della criminalità e statistiche dei reati, si erano dilettati a bacchettarlo per la sua discesa in campo ironizzando sui pm che vogliono "salvare il mondo" e risparmiando invece analoghe attenzioni all'ex procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, candidato per il Pd.

Così, per esemplificare la sua amarezza, il fondatore di Rivoluzione Civile aveva citato Giovanni Falcone: "Forse non è un caso - le parole di Ingroia - che quando iniziò la sua attività di collaborazione con la politica, le critiche peggiori giunsero proprio dalla magistratura”. Paragone strumentale e magari forte, ma che una lettura non preconcetta contestualizza più nella censura delle dilanianti lotte tra toghe che nell'autopromozione a martire di complemento.

Apriti codice. Immediata e stizzita replica di Ilda Boccassini, procuratore aggiunto di Milano e amica di Falcone, che a stretto giro, dai microfoni di La 7, graffiava Ingroia con una dichiarazione al laser: "Come ha potuto Antonio Ingroia paragonare la sua piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro esiste una distanza misurabile in milioni di anni luce. Si vergogni”.

Un po' stordito, il leader di Rivoluzione Civile prima abbozzava ("non mi sono paragonato a Falcone, alla Boccassini dico che prima di sparare a zero è meglio informarsi prima di parlare"), poi, a  freddo, contrariamente alle indicazioni di tutti i manuali di comunicazione, pareggiava l'eleganza delle accuse resuscitando a proprio garante professionale - e a eroe contundente di Ilda la Rossa - nientemeno che il gemello di Falcone, Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D'Amelio.

"Ho atteso finora una smentita" della Boccassini - scrive Ingroia nella sua 'meditata' replica -. Siccome non è arrivata, dico che l'unica a doversi vergognare è lei che, ancora in magistratura, prende parte in modo così indecente e astioso alla competizione politica manipolando le mie dichiarazioni. Quanto ai suoi personali giudizi su di me, non mi interessano. Alle sue piccinerie siamo abituati da anni. Mi basta sapere cosa pensava di me Paolo Borsellino e cosa pensava di lei. Ogni parola in più - conclude il leader di Rivoluzione Civile - sarebbe di troppo". E qualcuna di meno, magari?

Assiste beato allo spettacolo l'ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che, anziché elevarsi dal ring in cui Ingroia e la Boccassini si sono consapevolmente coscritti, prova a lucrare un vantaggio elettorale consegnando questa resistibile dichiarazione ad Agorà: "Giovanni Falcone - dice il capolista del Pd al Senato nel Lazio - ha fatto cose talmente eclatanti che oggi, paragonarsi a lui, mi sembra un fuor d'opera". "C'è da riconsiderare - continua Grasso - ciò che ha subito Giovanni Falcone nella sua vita: ha subito un attentato all'Addaura ed è stato accusato di esserselo procurato da solo; è stato accusato di aver insabbiato le carte dei processi nel rapporto con la politica; è stato accusato di fare il professionista dell'antimafia; è stato accusato di andare nei palazzi della politica, dove effettivamente è riuscito a fare una legislazione che tutti ci invidiano". Poi è stato anche ammazzato a Capaci. Ma questo i telespettatori lo sanno e Grasso lo risparmia. Purché il concorrente palermitano prenda nota e faccia penitenza sui ceci, possibilmente del Guatemala. 

Tranquilli, non è finita. Anche Maria Falcone, sorella del magistrato simbolo della lotta alla mafia, pettina la barba ad Ingroia, al quale comunica da vestale delle memorie di famiglia che non permette "a nessuno di parlare di Giovanni per autopromuoversi a livello politico". Ingroia  anche in questo caso ci pensa su. Conta fino a dieci e poi riapplica il collaudato 'schema Ilda' rinfacciando alla signora Maria che è stata lei ad utilizzare l'aura di Giovanni Falcone per fini politici, candidandosi al "Parlamento europeo", peraltro senza "neppure venire eletta". Della serie: olè, anche questa è detta. Mancano ancora 25 giorni al voto. E tutti i martiri sono già stati arruolati.

di Giovanni Rossi