L'Italia sta rischiando un altro anno di recessione. Trenta giorni fa il nostro paese ha superato la barriera dei tre milioni di disoccupati. Il debito pubblico è sempre altissimo e le agenzie di rating stanno meditando di spingerci ancora più in basso (causa instabilità politica). Le prospettive immediate dell’industria non sono buone. Ma da Bruxelles continuano a dire che da luglio in avanti si cambia musica: dovrebbe finire la discesa all’inferno. E dovrebbe spuntare un po’ di ripresa. L’eventuale taglio del nostro rating, però, metterebbe le banche italiane nei guai (sono piene di titoli di Stato), al punto che i loro finanziamenti all’economia reale, già molto scarsi, diventerebbero delle vere rarità. In sostanza, il dibattito politico in corso (che durerà, calendario alla mano, fino alla fine del mese) rischia di farci mancare l’appuntamento con la ripresa. Il cambio di congiuntura arriverà, ma noi non saremo lì.

Non è una bella notizia per i tre milioni di italiani che non hanno un lavoro, e nemmeno uno stipendio. Allora ho fatto un sogno. Napolitano manda a quel paese il rito consolidato delle consultazioni, chiude i leader politici in una stanza del Quirinale (ce ne sono 700, una libera si trova di sicuro) e dice loro: «Uscirete di qui quando vi sarete accordati su un governo, nomi dei ministri e programma compresi, cercate di sbrigarvela per domenica, così diamo l’annuncio al mondo e forse evitiamo che ci taglino il rating». Ma, naturalmente, Napolitano non può fare queste cose e non le farà. Nessuno, però, impedisce ai politici di chiudersi in una stanza d’albergo e di fare la stessa cosa.

Se gli echi della violenta campagna elettorale appena conclusa sono troppi forti, i leaders stiano casa e mandino i loro numeri 2 a trattare l’accordo. E la facciano breve. Oppure, se vogliono continuare a discutere, dicano a Monti di stare al suo posto fino a settembre e di varare intanto quelle 3-4 misure che servono per acchiappare la ripresa e per evitare il taglio del rating. Perché se andiamo giù di rating e se i disoccupati crescono al ritmo di dieci mila unità al mese non si potrà mai più votare: a meno che non si voglia vedere Grillo al 40 per cento. A volte capita che bisogna correre. Questo è esattamente il momento di scattare. Fra due mesi sarebbe troppo tardi.

di Giuseppe Turani