di Cosimo Ceccuti

CIRCOLA in questi giorni in Rete la traduzione di alcuni passi del discorso pronunciato da Adolf Hitler a Berlino il 4 aprile 1932 in occasione delle elezioni presidenziali. Il motivo è l’accostamento a Beppe Grillo, per toni e contenuti, nell’aggressivo attacco ai partiti politici. «Abbiamo una nazione economicamente distrutta, gli agricoltori rovinati, la classe media è in ginocchio, le finanze agli sgoccioli, milioni di disoccupati… Sono loro i responsabili». «Noi non siamo come loro! — è ancora Hitler che arringa centomila berlinesi —. Loro sono morti, e vogliamo vederli tutti nella tomba!... Ancora non hanno capito di avere a che fare con un movimento completamente differente da un partito politico… noi resisteremo a qualsiasi pressione che ci venga fatta. È un movimento che non può essere fermato... noi non siamo un partito, rappresentiamo l’intero popolo, un popolo nuovo…».

AL DI LÀ del confronto fra toni e contenuti, è opportuno contestualizzare il quadro politico nel quale le parole del leader dei nazionalsocialisti furono pronunciate. Dopo il risultato elettorale fallimentare del 1924 (3%) e del 1928 (2,5%), la crisi economica del 1929, con la frustrazione dei ceti medi, il generale immiserimento, la disoccupazione dilagante, esasperò il dissenso del popolo tedesco a vantaggio dell’estrema destra.
La crisi dei partiti tradizionali — socialdemocratici, cattolici, conservatori, democratici — agevolò il montare della protesta: i nazisti di Hitler, che seppero recepirla, balzarono al 18,3% nel 1930 e arrivarono al 37,3% nelle consultazioni del luglio 1932, pochi mesi dopo il citato discorso di Berlino. Primo partito in Parlamento, Paese difficilmente governabile. La soluzione infausta fu il reiterato scioglimento dell’Assemblea, nella illusoria speranza di pervenire a una maggioranza stabile. Sceso appena al 33% il partito di Hitler si confermò il più votato nelle elezioni di novembre, per poi volare al 44% nelle elezioni del marzo successivo, 1933. Hitler era, da poche settimane, alla guida del governo.
Più delle parole sono i fatti che impongono una riflessione. Autentico rischio per la democrazia è il ravvicinato ricorso al voto, nella illusione che il disagio e la protesta rientrino, anziché confluire in movimenti di opposizione radicale, anche senza segnali di rinnovamento.
Il «tutti a casa e ricontiamoci» non paga, soprattutto non paga la stabilità del sistema democratico.

NE È BEN CONSAPEVOLE il presidente Napolitano, che avverte i rischi derivanti dalle incertezze sulla composizione di una maggioranza e dalla pericolosa ‘minaccia’ del ritorno immediato al voto ostentata da alcuni leader di partito. Non a caso fa appello alla misura, al realismo, al senso di responsabilità, di tutti, auspica positivi incontri per intese costruttive e rifiuta l’idea di elezioni anticipate, senza che siano stati realizzati da un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare pochi essenziali punti in grado di garantire la governabilità e avviare concretamente la ripresa economica e sociale del Paese.