IL TEMPO a disposizione dell’Italia e del governo Letta è scaduto. Il teatrino della politica (e della magistratura) è stato affollato in questi giorni, e quindi l’economia è passata in secondo piano. Ma i problemi rimangono. L’Italia è in fondo alla classe e continua ad arretrare. Lo scenario internazionale aiuta, ma nemmeno poi così tanto. L’America è in ripresa, ma non corre a perdifiato. I Paesi emergenti vanno forte, ma con qualche affanno. L’Europa è in leggera recessione. Il nostro Paese è in profonda recessione. Secondo le stime più prudenti quest’anno si va sotto dell’1,3%. Qualcuno non esclude che si possa arrivare al 2% o molto vicino. Per comprendere fino in fondo il nostro dramma basteranno due cifre. Negli ultimi sei anni in Italia la competitività è andata indietro del 5,2%, quella della Germania è aumentata del 6%. In sei anni, abbiamo accumulato più di 11 punti di distacco dalla Germania. Basterebbe questo dato per comprendere come sia indispensabile sottoporre il sistema Italia a una profonda revisione. Ormai siamo nella spirale del declino progressivo e senza un’inversione di rotta niente potrà tirarci fuori. Visione pessimistica? Rete imprese ha calcolato che quest’anno, senza crescita, si perdono altri 650mila posti di lavoro. Ma non esiste un solo centro studi e previsioni che veda una ripresa in Italia. Anzi, tutti vedono una recessione abbastanza forte. A cui seguirà, l’anno prossimo, una lievissima crescita economica (sotto lo 0,5%). Su quei 650mila posti di lavoro si può tirare una croce già adesso. In parole povere, non siamo mai stati in emergenza come adesso. E infatti le persone più attente cominciano a temere l’autunno. Finora la coesione sociale (aiutata probabilmente dai risparmi dei nonni) ha retto. Ma la corda non può essere tirata all’infinito. Se bisogna fare qualcosa, bisogna farla adesso. Le trattative con Bruxelles sono una bella cosa e vanno portate avanti. Nell’attesa, però, l’Italia deve tirarsi un po’ fuori dai guai con le proprie mani. Ma non ci sono i soldi, si dirà. Non è vero. Ci sono i 30 miliardi di finanziamenti a pioggia delle imprese (di cui la stessa Confindustria da mesi chiede la cancellazione con un tratto di penna). Poi ci sono i 7 miliardi della formazione professionale regionale (soldi buttati nel nulla). E anche qui un bel tratto di penna ci starebbe bene. E fanno già 37 miliardi. Poi si possono eliminare, per qualche anno, i contributi per le energie verdi. Con la creazione di una bad bank gli istituti di credito potrebbero tornare a dare soldi alle aziende e alle famiglie. Insomma, con un po’ di decisione i soldi si possono trovare, sia pure creando qualche dispiacere. Ma la cosa importante da capire è che non abbiamo più tempo. Su di noi incombono la chiusura di qualche altro migliaio di aziende e una valanga di 650mila disoccupati.

di Giuseppe Turani