Firenze, 26 maggio 2003 - CHE COSA Matteo Renzi pensi dell’Imu («Vale meno delle quote latte, è una cambiale pagata a Berlusconi»), della trasparenza di Grillo («Non è lo streaming ma dove prendi e metti i soldi»), delle Riforme («Camera delle autonomia al posto del Senato e abolizione delle Province») lo sappiamo. Quello che non sappiamo è se — come molti sospettano — stia defilippianamente aspettando che passi «’a nuttata» del governo Letta. Ma Renzi è già «Oltre la rottamazione» (è anche il titolo del suo libro) e il ruolo del naughty boy lo consegna a qualche show televisivo, senza più bisogno di vestirsi alla Fonzie. Lui e il pisano Letta non si mordono. Figuriamoci, hanno atteso insieme, nell’ufficio del deputato Andrea Marcucci, in via Veneto, a Roma, che il presidente Napolitano decidesse a chi affidare l’incarico. Ci ha creduto per una notte, Renzi, gliel’ha fatto credere una raffica di telefonate, la prima di Fassino e poi Casini. La mattina dopo puff, il sogno si è sgonfiato. Ora è in stand by. Forse.

Dica la verità: si aspettava di più dal governo Letta?


«Troppo facile dare la colpa al governo, tipica usanza italiana. Io non credo che qualsiasi problema si possa risolvere così. Il governo è partito, aspettiamo un altro po’ a giudicare».


Se lei fosse premier che cosa farebbe per rispondere al grido di disperazione del presidente Squinzi che ha chiesto anche una coesione sociale per uscire dal baratro?


«Credo che prima di tutto la priorità sia ridurre la burocrazia, snellire i processi decisionali della pubblica amministrazione, un fisco più semplice che la smetta con la logica delle ispezioni e delle contro ispezioni. Ma io premier non sono».


Fino al prossimo giro, no?


«Se lo vorranno gli italiani con le elezioni. Del resto sarei il meno adatto a guidare un governo di grande coalizione».


Dopo Bersani, sarà Enrico Letta il suo avversario nella corsa alla premiership del Paese.


«Mi sembra che stia mettendo il carro avanti ai buoi in un momento nel quale già immaginare il domani è difficile, figuriamoci il dopodomani».


È sempre convinto di non candidarsi per la guida del partito al congresso? C’è chi l’accusa di comportarsi come i democristiani della Prima Repubblica: a me il governo a voi il partito...


«Lo schema della Prima repubblica è totalmente saltato. Allora i partiti avevano un ruolo preminente nello scenario politico. Mi piacerebbe discutere su quale sia oggi il loro ruolo. Li immaginiamo semplici strumenti di propaganda ai confini della campagna elettorale, burocratici apparati similministeriali dotati di struttura e ricco finanziamento, o una terza via. Pensare di risolvere questi temi con un totonomi mi sembra riduttivo. Il leader del partito è o no il candidato alla guida del Paese? Finché non si sciolgono questi nodi è inutile discutere sulla segreteria del Pd».


Congresso in autunno o meglio più tardi?


«Trovo allucinante che il Pd continui a dividersi su tutto: prima sul traghettatore, poi sulla tempistica del cambiamento, ora sulla data. Che sia luglio o ottobre, il punto è che tipo di congresso facciamo. Parliamo delle correnti del Pd o dell’Italia? Perché nel primo caso non mi interessa nemmeno partecipare come delegato. Non dovrà essere il contenitore di ambizioni personali di chicchessia».


Oggi si vota in molte città, lei crede che si manifesterà di nuovo la disaffezione della gente verso i partiti, come preannunciato dal flop delle manifestazioni in piazza di venerdì?


«Sono stato a Imola e a Vicenza, a Barletta e Siena e ho visto una grande partecipazione. Agli elettori dico che si sceglie il sindaco, non è un referendum sul governo».


A Bologna c’è per l’appunto il referendum sul finanziamento comunale alle scuole paritarie: lei ha detto che non è un dibattito fra laici e cattolici, ma anche su questo tema il Pd si è diviso fra due anime?


«Ho visto posizioni molto nette. Per me l’appartenenza religiosa è qualcosa di serio e non va usata strumentalmente. Il finanziamento dei comuni a questi istituti è un fatto educativo, è un’opportunità per il territorio. Soltanto un pregiudizio ideologico può far immaginare di poter rinunciare allo straordinario lavoro che il sociale svolge nelle scuole, negli asili, a vantaggio degli ultimi».


Sindaco, è davvero convinto che sia stata una buona idea farsi fotografare con il giubbotto di Fonzie?


«Se si parlasse delle nostre proposte sulla semplificazione burocratica, dedicandogli almeno un decimo dello spazio che è stato dedicato al mio giubbotto, saremo un Paese più efficiente».

di Marcello Mancini