Roma, 22 luglio 2013 - “Ci sono ancora dei punti oscuri che altre istituzioni devono chiarire”. Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, all’ingresso del Consiglio Affari Esteri Ue interviene nuovamente sul caso della signora Shalabayeva, moglie del dissidente Ablyazov, deportata nel suo paese con la figlia di sei anni.

Allontanare l’ambasciatore kazako dell’Italia? “Stiamo ancora valutando”, ha aggiunto il ministro degli Esteri. “La mia prima preoccupazione è non indebolire per reazione o controreazione la nostra presenza ad Astana”, ha aggiunto Bonino. 

“Da quando è stata provata la superattività dell’ambasciatore kazako abbiamo preso una serie di iniziative per risolvere la questione, ma senza contraccolpi che indeboliscano la nostra presenza e capacità di assistenza”, ha continuato la titolare della Farnesina. “Non vorrei che alla fine restassimo con una presenza più indebolita con l’avvicinarsi del generale agosto. Indubbio è che l’attuale ambasciatore kazako in vacanza, dopo questi avvenimenti, non sarà più una persona molto utile nemmeno per i kazaki”.

Intanto, con un comunicato stampa Palazzo Grazioli replica al quotidiano 'la Repubblica' che ha parlato di un presunto sfogo di Berlusconi contro Angelino Alfano. “Prosegue anche oggi - è scritto nella nota - l’opera di disinformazione del cosiddetto partito di ‘Repubblica’. E ancora una volta viene attribuito al presidente Berlusconi un giudizio sul ministro Alfano che non è stato né pensato né tantomeno pronunciato. ‘La Repubblica’ dedica addirittura due titoli, in prima e in terza pagina, a questo presunto sfogo che purtroppo fa seguito a una lunga serie di dichiarazioni, una più fantasiosa dell’altra”.

LA DICHIARAZIONE DEL GIUDICE DI PACE - "Io ho solo applicato la legge e, sulla base della documentazione fornitami dal Prefetto secondo cui il passaporto presentato da tale Alma Ayan era stato sequestrato dalla Digos in quanto alterato e contraffatto, mi sono limitata a convalidare il trattenimento della donna, proprio perché venissero svolti accertamenti sulla sua reale identificazione. Il decreto di espulsione è altra cosa e non fa parte certo delle mie competenze". Stefania Lavore, il giudice di pace che il 31 maggio scorso convalidò il trattenimento presso il Cie di Ponte Galeria di Alma Shalayeva, moglie del dissidente kazako, racconta così la sua verità.

"In udienza, con l'aiuto di una interprete - ricorda il giudice - la signora Alma Ayan si limitò a fornirmi pochi elementi: disse che aveva quattro figli, che non lavorava, che era aiutata economicamente da alcuni connazionali e che viveva dalla fine del 2012 nella villetta di Casal Palocco". Dunque, secondo il giudice di pace, la straniera non avrebbe alcun riferimento al marito né alla situazione politica in Kazakistan. "Non solo - aggiunge Lavore - ma nel verbale di udienza l'avvocato che l'assisteva scrisse di suo pugno che la donna, una volta ottenuto il passaporto sequestrato, avrebbe voluto lasciare l'Italia per fare rientro nella Repubblica Centrafricana. Dunque, nessuna richiesta di asilo politico mi è stata avanzata dalle parti in quella sede, anche perché su questo aspetto è un'apposita commissione che deve pronunciarsi, non certo un giudice di pace. Quando venne fermata dalla polizia il 29 maggio, poi, la donna avrebbe avuto tutto il tempo per avanzare tale richiesta. Nell'udienza celebrata due giorni dopo, quando avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, lei disse ben poco e non mi fece trapelare nulla".

Rappresentato dall'avvocato Lorenzo Contrada, cui ha deciso di rivolgersi "per porre fine alle falsità e alle inesattezze riportate dalla stampa", il giudice Lavore spiega di non aver mai avuto contezza della nota del 30 maggio scorso dell'ambasciata kazaka che attestava l'esistenza di due passaporti diplomatici riconducibili alla signora Shalabayeva. Nota di cui era a conoscenza, invece, il Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell'Interno. "A me quella documentazione non è stata fornita da nessuno - spiega il magistrato onorario. Gli unici documenti posti alla mia attenzione sono stati quelli della difesa che ha presentato alcune dichiarazioni provenienti dalle autorità della Repubblica Centrafricana in cui si diceva che la donna, nota come Alma Ayan, era un soggetto conosciuto in quello Stato. Non c'era neppure la sua fotografia. Ripeto ancora una volta che il nome era quello di Alma Ayan, per giunta riportato nel ruolo di udienza di quel giorno, lo stesso che per il Prefetto era frutto di documentazione contraffatta e falsa. Con queste carte - insiste il giudice di pace - non avrei mai potuto adottare decisione diversa da quella che ho preso. Il trattenimento era finalizzato proprio ad accertare la reale identità della donna e non certo ad agevolarne l'espulsione che, ripeto, non compete al mio ufficio".