Sergio Gioli

NON È LA PRIMA volta che la sinistra italiana cerca di cambiare, ma potrebbe essere l’ultima se il tentativo dovesse fallire. Matteo Renzi compensa con le idee chiare e una certa dose di carisma personale i difetti (tanti) che gli vengono rimproverati: populismo, approssimazione, scarsa cultura politica. Alla gente piace perché non parla in politichese. Alla nomenklatura non piace perché vuole tagliare il cordone ombelicale che lega il Pd al vecchio Pci e alla sinistra Dc. Una cosa, infatti, è chiara a tutti: il partito di Renzi non avrà nulla a che vedere con i partiti del Novecento dalle cui ceneri è nato.
Tagliare quelle radici è operazione tutt’altro che facile.
La storia della sinistra italiana è piena di strappi (spesso tardivi) e di rivoluzioni incompiute. Berlinguer si allontanò da Mosca con fin troppa timidezza. Occhetto seppellì il Pci solo quando, con la caduta del muro di Berlino, non poteva farne a meno. Craxi portò il Psi su posizioni occidentali e sfidò su quel terreno il Pci-Pds, ma rimase travolto dallo tsunami Tangentopoli. Veltroni sognò al Lingotto un partito moderno e autosufficiente, alternativo non solo al centrodestra ma anche alla sinistra radicale. Gli andò male.

DOPO il Lingotto la politica del Pd è tornata al passato. Bersani è riuscito a perdere elezioni già vinte dimostrando la solita atavica incapacità di parlare alla pancia moderata del Paese. A un’Italia strangolata dalle tasse, dalla burocrazia e da una macchina statale mostruosa non ha saputo offrire di meglio che un programma di rigore economico senza prospettive, il solito patto d’acciaio con la Cgil e un’alleanza politica con Nichi Vendola.
Si è detto che se il candidato premier fosse stato Renzi il Pd avrebbe vinto le ultime elezioni. Vero. Ma è anche il motivo per cui mezzo Pd, oggi, rema contro il sindaco di Firenze. Perché il Pd di D’Alema, di Rosy Bindi e di Susanna Camusso i voti dell’Italia moderata non li vuole e non taglierà mai le radici che affondano nelle ideologie del Novecento. Quella rivoluzione il Pd non l’ha mai voluta fare, dando fiato a chi sostiene che il partitone post comunista può essere distrutto ma non riformato.
Per questo la sensazione è che oggi, con Renzi, a sinistra passi l’ultimo treno.