OGGI i gufi, come li chiama Matteo Renzi, sapranno quali coperture ha predisposto il governo per pagare gli ottanta euro mensili (più o meno) a dieci milioni di italiani a partire da maggio e altri quattrocento euro annui (più o meno) ad altri quattro milioni che non raggiungono gli ottomila euro lordi all’anno. C’è da giurare che queste coperture ci saranno. Il problema è capire a quale prezzo, in termini di tagli e di equilibrio sociale. A palazzo Chigi ammettono che non si aspettavano una resistenza passiva tanto forte da parte delle burocrazie ministeriali. E invece c’era da giurarci. La Burocrazia — con la maiuscola — è da decenni il vero nemico dell’efficienza statale. Non perché sia fatta da persone crudeli o incapaci, ma perché ha annodato il Gulliver politico con una serie infinita di lacci e lacciuoli per cui non può esserci un provvedimento se non c’è una legge e non si può fare quel che dice la legge se non c’è un regolamento di attuazione. Questi regolamenti spesso impiegano anni per essere approvati (ce ne sono in arretrato ancora dal governo Monti) per cui tra quel che annuncia il telegiornale la sera del consiglio dei ministri e l’attuazione effettiva dell’annuncio passa un tempo spropositato. Non a caso le leggi italiane sono un numero indefinito, ma infinitamente superiore a quello dei paesi ‘normali’.

PERCIÒ c’è un ricorso così frequente al decreto legge, l’unico che garantisca la capacità decisionale dei governi, anche per superare il travaglio infernale di un bicameralismo assurdo. In un sistema siffatto i capi della burocrazia — i cosiddetti Mandarini — sono i veri uomini di potere e si capisce bene che un uomo deciso e ‘moderno’ come Matteo Renzi voglia abbatterne il potere con la ruspa. Ma ha cominciato col tagliarne gli stipendi dall’oggi al domani per una pura questione d’immagine, visto che quelli che in Italia denunciano un lordo annuo superiore ai 239mila euro sono talmente pochi che i tagli non portano quasi nulla in cassa. Gli italiani (ma non solo) gioiscono quando il vicino che guadagna più di loro viene in qualche modo punito, ma attenti alle conseguenze. Ridimensionare un potere eccessivo della burocrazia non richiede necessariamente una punizione indiscriminata dei burocrati. Uno di loro mi ha fatto questo discorso: «Non entro nel merito della mia retribuzione: non sta a me stabilire se sia giusta o sbagliata. Resta il fatto che viene violato il mio patto con lo Stato. Sapevo che a un certo momento della mia carriera avrei guadagnato questa cifra e su di essa ho costruito il tenore di vita della mia famiglia, il mio mutuo, gli studi dei miei figli. Se senza alcun preavviso il mio stipendio dalla sera alla mattina subisce un taglio del dieci, del venti per cento o magari anche superiore, tutto viene rimesso in discussione. A quanto ammonteranno la mia liquidazione e la mia pensione parametrate all’ultimo stipendio? Farò ricorso e ho ottime possibilità di vincerlo, ma dopo tanti anni di servizio oggi mi sento sinceramente umiliato». Per un’ovvia ragione di equità dovrà essere tagliato anche lo stipendio dei magistrati ordinari e amministrativi e Renzi si accorgerà che è meno rischioso tagliare la coda a un leone. E non sappiamo davvero quanto sopravviverà a lunga scadenza di quel che viene deciso in queste ore (i contributi pensionistici di solidarietà del governo Monti dovettero essere puntualmente restituiti...). Una soluzione equa sarebbe quella di risarcire gli elementi più meritevoli con effettivi premi di produzione. Finora i premi sono stati dati sempre a tutti. Se finalmente si cominciasse a distinguere forse i risultati sarebbero migliori. Ma non si meravigli il presidente del Consiglio se qualcuno dei partiti di opposizione e anche di maggioranza nelle prossime settimane si farà paladino delle categorie sacrificate, anche fuori della burocrazia.

di BRUNO VESPA