IL RULLÌO dei tamburi elettorali che si rafforza rende più difficile la strada del governo. Ogni azionista vuole marcare una differenza, far vedere che esiste, lucrare voti e alza l’asticella circa le proprie rivendicazioni. In questi periodi sarebbe più saggio adottare - ribaltandola - la legge che vigeva nell’antica Grecia, quando in epoca di Olimpiadi si sospendevano tutte le guerre. E’ campagna elettorale, e non si governa. Anche perché poi, finendo col confondere la propaganda e l’azione, può anche succedere che l’Europa almeno un poco si innervosisca. "Vediamo i conti", ripetono infastiditi da Bruxelles.


Renzi però non può permetterselo, e non vuole permetterselo, perché come ogni vero politico ha fatto dell’annuncio la sua arma "totale", quella di distruzione di massa, perché sa che in quanto ad appeal elettorale è il più bravo di tutti, e perché a differenza di altri politici del passato questi annunci sta almeno in parte realizzandoli. A dispetto di quelli che lui chiama gufi, con l’occhio puntato fisso sul 25 maggio. Una leadership di fatto carismatica come la sua non ammette altra legittimazione che quella elettorale, per adesso ottenuta solo nelle urne del Pd e nei sondaggi che ogni settimana lo segnalano in crescita.

ECCO il motivo per cui il premier non si è fatto scrupoli nello scontentare praticamente tutti, dai sindacati agli industriali, dagli europeisti e agli antieuropeisti, facendo spallucce di fronte a chi nel Pdl lo definisce di estrema sinistra per le bastonate alle banche, e specularmente a quelli che di sinistra che lo definiscono un "piccolo Berlusconi", il rifiuto della ditta-partito o le aperture contenute nel Jobs Act.


Ma è proprio sul decreto Lavoro da questa settimana al via nel suo difficilissimo iter parlemerntare che la tenuta della maggioranza sarà messa alla prova di opposte rivendicazioni crescenti. E’ qui che servirebbe la pace pre-elettorale, che non ci sarà. Alfano qualcosa deve infatti portare a casa, perché non basterà qualche transfuga da Forza Italia a indurre i moderati delusi da Berlusconi a puntare sull’ex Delfino del Cavaliere, come non potrà rimanere inerme la minoranza Pd (dietro alla quale si nasconde il sindacato rosso), che non può accettare senza batter ciglio la parziale deregulation dei contratti a termine introdotta con il dl Poletti e poi parzialmente corretto in Commissione Lavoro.

Le barricate contrapposte sembrano già essere state alzate, e la "minaccia" di fiducia sul testo uscito dalla Commissione, buttata là da Cesare Damiano pare qualcosa che specie in piena campagna elettorale è buona a rialzare quegli steccati ideologici sui quali ogni discussione sul lavoro si spiaggia.
Storia vecchia, la campagna elettorale. Solo che stavolta ci sono da approvare decreti vitali per il futuro dei nostri figli.