A FINE giornata, ferma il corteo di auto blu che lo riporta all’aeroporto. Capaci, 1992. Una bomba sventrò l’autostrada nel momento in cui passava il giudice Falcone. Morirono sul colpo lui, la moglie, gli uomini della scorta. In quel punto esatto, dalla berlina blindata scende il Papa. Nelle ombre della sera, la figura bianca, anziana e compassata di Ratzinger, si ferma a pregare in silenzio. Depone una corona di fiori. Benedetto XVI ha voluto concludere così la sua giornata a Palermo. Il Papa tedesco lascia da parte i toni meditativi che gli sono più consoni ed entusiasma migliaia di giovani che, all’epoca delle bombe contro Falcone e Borsellino, erano bambini o non erano neppure nati. Nella centrale piazza Politeama, nel tardo pomeriggio, cantano cori da stadio, esultano, e quando lui chiama il problema per nome («Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo») lo interrompono con scrosci di applausi. Il Papa arriva la mattina in Sicilia. Ad accoglierlo allo scalo che porta il nome della guerra di mafia — l’aeroporto Falcone-Borsellino — ci sono l’arcivescovo Paolo Romeo, il governatore Lombardo e il sindaco Cammarata. Da Roma sono arrivati anche due pesi massimi della politica nazionale, il presidente del Senato Schifani e il ministro della Giustizia Alfano, entrambi siciliani. La giornata è soleggiata, il Papa sorride.


A PRANZO, con i vescovi siciliani, mangia «panelle», involtini di melanzane, frutti di mare e cassata. Ma, per il Papa, non è una giornata di festa. «So che a Palermo, come anche in tutta la Sicilia, non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni», dice nella messa mattutina al Foro italico, di fronte a oltre 200mila fedeli da tutta l’isola. Parla di disoccupazione, precarietà, «sofferenza fisica e morale e a causa della criminalità organizzata». Dice: «Sono qui per darvi un forte incoraggiamento a non aver paura di testimoniare con chiarezza i valori umani e cristiani». E’ un crescendo. Il Papa decide di battere e ribattere sullo stesso tasto. «Ci si deve vergognare del male, di ciò che offende Dio, di ciò che offende l’uomo. La tentazione dello scoraggiamento, della rassegnazione — ammonisce — viene a chi è debole nella fede, a chi confonde il male con il bene, a chi pensa che davanti al male, spesso profondo, non ci sia nulla da fare».


MENTRE la politica nazionale si ingolfa e i vescovi italiani, da alcuni mesi, hanno iniziato ad alzare la voce a favore di un «federalismo solidale», al Papa preme di indicare degli esempi positivi. Cita Rosario Livatino, il «giudice ragazzino» ucciso nel 1990 a 38 anni, e parla ripetutamente di don Pino Puglisi. Parroco del quartiere Brancaccio, al killer che lo freddò disse solo: «Me l’aspettavo». Per entrambi è in corso il processo di beatificazione. Ratzinger sembra non dubitare dell’esito: «La Sicilia — scandisce — è terra di santi». E non solo di mafia.