— ROMA —
PRESIDIO di studenti, circa tremila, in piazza Montecitorio contro la Riforma dell’Università e manifestazioni in tutte le città, da Nord a Sud. Il giorno dopo lo stop del Tesoro e della grande ira del ministro dell’Istruzione, studenti e ricercatori si sono ritrovati per dire no al disegno, ora congelato, che delinea gli atenei del futuro. Al grido di «Gelmini dimettiti» i giovani hanno vissuto quella che hanno definito «una bella festa», pure un po’ superata dagli eventi. Tremonti ha garantito ieri mattina che l’esame del provvedimento arriverà al termine della sessione di bilancio, ma le acque nel governo non sono calme. Mariastella Gelmini ha tuonato: «La mia parte l’ho fatta, ora la responsabilità è dell’esecutivo». Il titolare dell’Economia ha ribadito che non c’è nulla per nessuno e i rilievi avanzati sulla «copertura» della riforma non sfuggono alle regole matematiche. Anche se la mediazione del premier avrebbe poi tirato fuori il coniglio dal cilindro con un impegno formale del Tesoro a reperire i soldi entro la fine dell’anno, il risultato momentaneo dello stop è di aver trasformato quella che doveva essere la settimana dell’università, nella quale si attendeva il varo definitivo della Riforma, in un gigantesco inciampo con contorno di manifestazioni, occupazioni e proteste.


RICERCATORI e studenti universitari e medi ieri hanno sfilato a Roma, dopo il presidio a Montecitorio. Hanno occupato la sede della Conferenza dei rettori e hanno urlato contro il governo. Oggi alle agitazioni si uniranno gli scioperi dei sindacati di base della scuola mentre, per domani, l’appuntamento per tutti è al corteo della Fiom sul quale il Viminale ha messo in guardia per rischio infiltrazioni. Manifestazioni spontanee o organizzate si sono svolte in molte città italiane: a Trieste, Firenze, Bologna, Milano, Palermo, Trento, Pisa, Bari. Alcune facoltà sono state occupate, in qualche ateneo è toccato ai Rettorati. Flash mob e fuoco ai curricula per dire no al riordino pensato dal Miur. In prima fila i ricercatori. Il problema riguarda l’abolizione delle figure dei ricercatori a tempo indeterminato. Il progetto Gelmini prevede 3 anni di incarico da confermare per altri 3 e poi l’assunzione, ma solo a condizione che l’aspirante prof abbia prodotto pubblicazioni e sia stato valutato positivamente. «L’attività di ricercatore — spiegava ieri una delle manifestanti — è valutata solo attraverso il numero di pubblicazioni: se si è usati per la didattica non c’è tempo per la ricerca. E’ un paradosso. Chiediamo una reale valutazione e qualificazione della nostra attività. Un minimo di didattica è utile perché il contatto con lo studente stimola la creatività ma non deve prevalere».


UNO DEI NODI della protesta è anche quello rispetto ai conti. Sono 9.000 i ricercatori già in odore di assunzione e questo rischia di mandare in tilt i conti dello Stato. Il sollievo degli studenti per la pausa imposta dal Tesoro, però, non è condiviso dai Rettori. I soldi promessi agli atenei, che saranno rimpinguati solo ai «virtuosi» secondo la nuova legge, rischiano di non arrivare proprio. Per questo motivo il prorettore di Bologna, Roberto Nicoletti, è stato esplicito: «Se il provvedimento non passa gli atenei sono in ginocchio». Preoccupazione condivisa dai vertici di tutte le università che chiedono, almeno, di sapere quali sono le disponibilità preventivate.
Silvia Mastrantonio