di MARIO CONSANI
— MILANO —

QUALCUNO non la racconta giusta. Le due versioni sul ‘caso Ruby’ offerte dalla questura e dalla procura per i minorenni di Milano sono opposte. L’altro ieri il procuratore aggiunto Ilda Boccassini ha sentito due dei protagonisti di quella nottata: il capo di gabinetto Pietro Ostuni e il commissario capo Giorgia Iafrate. Non è escluso che nei prossimi giorni possa essere ascoltato anche il pm dei minori Annamaria Fiorillo, che era di turno quando Ruby (da oggi maggiorenne) venne fermata e portata in questura, e che non diede l’autorizzazione all’affido della ragazza alla consigliera regionale lombarda del Pdl, Nicole Minetti. Il pm Fiorillo, a differenza di quanto sostenuto sabato in una nota della questura, non raggiunse mai alcun accordo circa l’affido della giovane alla consigliera e non lo avrebbe raggiunto nemmeno nel caso fosse arrivata negli uffici di via Fatebenefratelli una copia dei documenti di identità della ragazza.


DEL FATTO che il magistrato non diede quell’autorizzazione — circostanza all’origine dell’inchiesta aperta dalla procura per favoreggiamento della prostituzione nei confronti dell’agente dei vip Lele Mora, del direttore del Tg4 Emilio Fede e della stessa Minetti — è testimonianza la relazione stilata quella notte dalla polizia. Secondo il documento, dopo l’arrivo della ragazza in questura e l’avvio delle procedure di identificazione era giunta la telefonata dalla presidenza del consiglio dei ministri in cui si specificava che Ruby «era la nipote del presidente» egiziano Mubarak e che «quindi doveva essere lasciata andare». Dopodiché, in via Fatebenefratelli si erano presentate «due amiche della minore», e cioè Minetti e la «inquilina della minore». Vista la nuova situazione, viene contattato ancora il pm di turno, la quale, pur informata della segnalazione della parentela di Ruby «disponeva comunque l’affido della minore a una comunità o — si legge nell’atto — la temporanea custodia della minore presso gli uffici della questura». Infine, è ancora negli atti, veniva di nuovo contattato il pm e «si raggiungeva il seguente accordo, e cioè bisognava avere la copia di un documento di identità della minore per poi poterla affidare alla Minetti e lasciarla andare». Il documento o una sua copia, chiesto dal magistrato per verificare se la ragazza fosse o meno nipote di Mubarak, non venne però recuperato e Ruby venne affidata alla Minetti nonostante non ci fosse il consenso del pm Fiorillo. Diversa, invece, la versione resa l’altra sera in un comunicato stampa ufficiale della questura, secondo cui l’autorizzazione ci sarebbe stata.


INTANTO, sospetti e coincidenze riemergono anche a partire dall’identità del «facoltoso imprenditore genovese» — tale Silvestri, stesso cognome di uno dei coinvolti in Vallettopoli — che venne pizzicato dalla polizia in macchina con Ruby a Genova, nel settembre scorso. Lei nella borsetta aveva 5000 euro in biglietti da 500. Un po’ troppi. L’uomo disse di aver conosciuto la ragazza nella discoteca dove Ruby lavorava come ragazza immagine. Dopo quella volta, l’imprenditore accompagnò spesso Ruby a Milano2, dove la ragazza riceveva denaro, dice, dal segretario di Lele Mora. Ma l’imprenditore, interrogato dai poliziotti, sostiene di non aver saputo cosa andasse a fare la ragazza a Milano, né che fosse minorenne. Una volta firmato il verbale, quella sera di settembre, l’uomo e la ragazzina con cinquemila euro nella borsetta vennero lasciati andare. Il verbale, 15 giorni dopo, prenderà la via di Milano e finirà acquisito al fascicolo dell’inchiesta aperta dalla procura.