di UGO BONASI
— ROMA —

CONVINTI da Napolitano e dalla complessità della situazione, Casini e Fini (che assicura di ricercare un «compromesso che non è il tradimento del mandato degli elettori»), hanno accettato la road map chiesta dal presidente: prima si approverà la Finanziaria, poi il premier si presenterà in Parlamento per la fiducia dove si giocherà le sue carte che potrebbero essere meno brutte di quanto ora appaiono se si deve dare credito all’inciso del leader dell’Udc che chiede a Berlusconi di avere senso di responsabilità facendo un passo indietro, «se c’è bisogno». Nessun ultimatum o benservito definitivo, dunque. La nuova alleanza Fli-Udc-Api-Mpa, pressata dall’ironia di Bersani e Di Pietro sul loro temporeggiamento, ha assicurato che presenterà ad inizio settimana una sua mozione di sfiducia sulla quale Pd e Idv potrebbero far convergere i loro voti.


LA MOZIONE di sfiducia è «l’ultimo dei problemi», ha affermato Casini convinto che prioritario sia ritrovare il «senso di responsabilità comune perchè la maggioranza non c’è più e bisogna trovare una soluzione che non faccia solo galleggiare» il Paese che, altrimenti, «va a rotoli». Per sottolineare la sua avversione al voto anticipato, il leader dell’Udc ha ricordato che «tutte le forze sociali e categorie dicono che è da irresponsabili» puntare sulle elezioni. D’accordo con Rutelli, Casini conferma di puntare ad una nuova forza, che non sarà, si augura, un terzo polo, «ma il primo». Nell’attesa chiede che il ragionamento prevalga sui muscoli, assicura che è finita un’epoca e che chi «ostacolerà la nuova fase per attaccamento alla poltrona perderà un ’occasione storica».


FINI è in sintonia: utilizza espressioni degli anni Novanta per chiedere di non vedere nell’altro «solo il nemico», di uscire dalla logica dello scontro, di non bollare come tradimento di un «messianico mandato degli elettori la semplice ricerca di un compromesso, di ciò che può unire». Il leader di Fli chiede di uscire dal «quotidiano ping pong delle colpe, dei riflessi condizionati, di guardare oltre il proprio naso e sentire il polso del Paese». Non lesina sull’immaginazione nemmeno quando, premettendo di «non volere polemiche», accusa una politica arroccata sul presente, che non guarda al futuro e che usa troppo lo «specchietto retrovisore». Chiede, Fini, una «politica più alta e non la propaganda». Altrimenti? Altrimenti sono in agguato gli «altri poteri che mettono nell’angolo la politica, anche se ora è la politica che si fa mettere nell’angolo».
Sembra che il leader di Fli abbia trovato il buco nero dell’Italia, il «deficit di riforme». Spiega che «l’autorevolezza delle istituzioni comporta la necessità di rispondere alle esigenze in tempi brevi», suggerisce un combinato disposto tra la capacità dei Parlamenti di unire e quella dei governi di decidere in tempi rapidi».