— ALESSANDRIA (Egitto) –
LA MESSA è appena finita, mezzanotte è passata da 20 minuti. Due giovani parcheggiano una Skoda verde davanti alla Chiesa dei Santi affollata da un migliaio di cristiani copti nel quartiere Sidi Bishr. L’auto esplode e fa scoppiare le due vetture più vicine. Sul marciapiedi e dentro la basilica è «un bagno di sangue». Le parole sono di un testimone oculare. «Sembrava Bagdad», rincara un soccorritore. Brandelli di corpi dappertutto, al punto che non è chiaro quante siano le vittime: 21 secondo i primi terribili conteggi, e 79 feriti, fra cui 8 musulmani di una moschea vicina. Le salme identificate sono 17, corregge nel tardo pomeriggio il ministro dell’interno Hatem el-Gabali. Secondo la tv satellitare Al Jazira sono state arrestae 17 persone per l’attentato. Ma mancano conferme.
Il Papa «è profondamente colpito e addolorato», riferisce il portavoce padre Federico Lombardi. Nella messa per il primo dell’anno ha lanciato di nuovo «un pressante invito» a lottare contro «soprusi, discriminazioni e intolleranza religiosa che oggi colpiscono in modo particolare i cristiani». Il Pontefice ha chiesto ai «responsabili delle Nazioni» di passare dalle parole a «un impegno concreto e costante». All’ Angelus ha denunciato il fondamentalismo e il laicismo come le minacce più insidiose alla «libertà religiosa», che è una delle «condizioni per la pace».


RICORDANDO
che il primo dell’anno è la giornata dedicata alla concordia fra i popoli dalla chiesa cattolica, il presidente Giorgio Napolitano ha chiesto con forza che la violenza si fermi. «Basta persecuzioni contro i cristiani nel mondo — ha scritto in un messaggio al Pontefice —. L’annuale celebrazione ha fornito a Vostra Santità l’occasione per porre all’attenzione dell’umanità intera l’essenziale tema della libertà religiosa». Benedetto XVI lo ha ringraziato con una telefonata. Anche il presidente statunitense Barack Obama ha definito «oltraggiosi» e «rivoltanti» i due attentati messi a segno ad Alessandria e in Nigeria. Quello in Egitto a suo giudizio è stato opera di persone «che non hanno alcun rispetto per la dignità e per la vita umana».


SUBITO dopo l’attentato, gruppi di copti esasperati hanno cominciato ad aggredire i musulmani tentando anche di penetrare in una moschea. Centinaia di giovani hanno lanciato pietre e lattine trasformate in piccole molotov contro la polizia. Un gruppetto brandiva una croce sulla quale erano appesi indumenti di vittime dell’attentato e gridava: «Con il nostro sangue e con la nostra anima sarà redenta la croce». La polizia, schierata nei giorni scorsi inutilmente a protezione delle chiese, ha dovuto riportare la calma sparando lacrimogeni e pallottole di gomma. Nel pomeriggio tremila copti sono tornati davanti alla Chiesa dei Santi e hanno ricominciato a bersagliare con i sassi le forze di sicurezza. Due ministri sono stati assaliti ai funerali dai parenti delle vittime. Il presidente Hosni Mubarak ha cercato di calmare le acque con un discorso, trasmesso dalla tv statale, nel quale ha sostenuto che il terrorismo «è estraneo agli egiziani» e si è detto convinto che la strage porti il segno «di mani straniere. Gli attentatori — ha concluso Mubarak — non fanno differenze fra copti e musulmani, taglieremo la testa della vipera».


IL PATRIARCA copto Shenuda III ha puntato il dito contro il tentativo di «seminare discordia». Il grande imam dell’Universtà teologica Al Azhar, la più antica e autorevole del mondo musulmano, Ahmed El Tayib, ha bollato la carneficina come un atto architettato all’estero. Il mufti d’Egitto Alì al-Gomaa ha esortato i concittadini a mantenere «sangue freddo». I Fratelli musulmani e i palestinesi fondamentalisti di Hamas si sono associati al coro di condanna.


L’UNICA rivendicazione è venuta dal sito «rete elettronica dei mujaheddin». Secondo il giornale Al Youm Al Sabaa ha pubblicato un elenco delle chiese copte da mettere nel mirino per le feste natalizie e di fine anno nel quale figurava anche quella dei Santi. «C’è solo la spada fra noi e voi copti – si legge su Internet – dell’interno e della diaspora, perché il tempo della tolleranza è passato per sempre».

Lorenzo Bianchi