di ANTONELLA COPPARI
— ROMA —

LE DONNE. Sempre loro... Che sarebbe andata a finire così, Silvio Berlusconi se l’aspettava, ma che a decidere del suo destino sul caso Ruby fossero 3 signore (che vanno ad aggiungersi al pm Ilda Boccassini e al gip Cristina di Censo: cinque in tutto) non se lo augurava. Raccontano che il premier non ha battuto ciglio quando, a Catania, ha ricevuto la notizia che il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il rito immediato per i reati di concussione e prostituzione minorile. Poi ha trascorso il pomeriggio non solo a studiare la strategia politico-giudiziaria ma a cercare di capire chi fossero Carmen D’Elia, Orsolina De Cristofaro e Giulia Turri cui spetta giudicarlo il 6 aprile. Il verdetto finale? Negativo: dall’identikit raccolto risulta che si tratta di magistrate «non politicizzate», ma anche che si tratta di persone toste.
Ufficialmente, il Cavaliere si cuce la bocca: la conferenza sull’immigrazione convocata con Maroni a Catania costituiva un’occasione ghiotta, ma Letta e Bonaiuti l’hanno convinto a soprassedere, anche per non creare ulteriori tensioni con il Quirinale. Epperò, con chi è andato a trovarlo a Palazzo Grazioli si è sfogato: «E’ una montatura infame, solo un voto di sfiducia può farmi cadere, non alcuni magistrati politicizzati che vogliono sovvertire il voto popolare dal ’94. Deve esprimersi il Parlamento che è sovrano, altrimenti si esprimeranno i cittadini». Agita il voto anticipato che non vuole: «Io non voglio finire come Craxi».
A sostenerlo in pubblico provvede il ministro della giustizia Alfano: «Il gip di Milano non ha tenuto conto di quanto votato le settimane scorse dalla Camera. Questo è un tema che attiene l’autonomia, la sovranità e l’indipendenza del Parlamento». Le dimissioni? «C’è la presunzione d’innocenza». E il legale Ghedini aggiunge: «Da Milano ci aspettiamo tutto e di più. Non c’è l’evidenza della prova, e poi la competenza funzionale è del tribunale dei ministri e quella territoriale di Monza». Tasti che la difesa toccherà anche in aula: se Milano dovesse dichiararsi competente, il Parlamento (o il governo) solleverà il conflitto di attribuzione chiedendo alla Corte costituzionale di pronunciarsi. «Reagiremo sul piano politico», promette Cicchitto. C’è chi spinge per la manifestazione, chi per accelerare il cammino dei provvedimenti che abbassano a 16-17 anni la maggior età penale per i reati sessuali e chi l’invita a presentarsi in aula a difendersi, possibilità esclusa se non si riconosce la competenza di Milano.




INTANTO crescono nel Pdl i sospetti sulla Lega: ad acuire il dubbio che Bossi possa mollare il Cavaliere, l’intervista a Bersani sparata ieri dalla Padania. Dopo Maroni, in serata ha provveduto il Senatur (che si è presentato a Palazzo Grazioli con i vertici del partito) a rassicurare il premier: «Il momento è difficile, Silvio, ma sto con te». Non c’è ribaltone in vista, e la scelta del suo quotidiano «non significa granchè». Ma un segnale di progressivo sganciamento è stato lanciato; insieme al grido d’allarme che per approvare il federalismo serve una maggioranza solida. C’è da dire che il Cavaliere continua a lavorare per allargare la sua platea: il decreto milleproroghe incombe, far arrivare a 29 deputati il numero dei responsabili significa aumentarne la presenza in commissioni come Bilancio, Giustizia e Affari costituzionali. Sempre che non si decida di puntare su un nuovo gruppo, quello di Miccichè.