di MASSIMO DEGLI ESPOSTI
— MILANO —

«SONO QUASI completamente fuori» si schernisce il professor Franco Reviglio, classe ’35, presidente dell’Eni dal 1983 al 1989, poi al vertice della multiutility torinese, oggi Iren, quando gli chiediamo un giudizio sulla crisi libica del gas alla luce delle scelte energetiche fatte dall’Italia nel Dopoguerra. Poi però, quando gli ricordiamo che gran parte di quelle scelte le fece lui, snocciola dati e percentuali come un computer, spaziando dai «miei tempi» all’oggi con sorprendente disinvoltura. «I problemi dell’Italia di allora — ragiona Reviglio — erano la dipendenza energetica e la vulnerabilità. La dipendenza resta immutata: il 90% del nostro fabbisogno viene ancora dall’estero. Io però mi battei per ovviare almeno al secondo problema».
Professore, siamo meno vulnerabili oggi?

«Infinitamente meno di un tempo, quando i consumi di gas erano 60 miliardi di metri cubi e venivano per 17-18 miliardi dai giacimenti italiani e quasi tutto il resto dall’Algeria. Oggi, anche se è crollata la produzione interna per la chiusura dei pozzi in Adriatico, coi gasdotti realizzati dagli anni 80 in poi ci riforniamo da Russia, Algeria, Olanda, Norvegia; e da altri produttori, Quatar in testa, grazie ai due impianti di rigassificazione in Liguria e Veneto. Presto sarà realizzato il nuovo gasdotto Algeria-Sardegna, un altro rigassificatore a Livorno, poi i gasdotti North Stream, South Stream o Nabucco. Insomma, le fonti sono molte di più, tanto che la chiusura delle forniture libiche, che incidono per meno del 10%, non avrà alcun riflesso sulla copertura del nostro fabbisogno. Ma la sicurezza costa: oggi tutte le forniture sono garantite con contratti pluriennali abbastanza onerosi, mentre i prezzi spot negli ultimi anni sono crollati».
Quindi, condivide la strategia energetica italiana?

«Sì, sicurezza al primo posto. Negli anni 80 mi battei per quello. Anche all’Agip, nel petrolio, imposi di investire sulle prospezioni più che sulla produzione, col risultato che oggi Eni ha giacimenti suoi, garantiti, per 2 milioni di barili al giorno, che equivale al consumo italiano».
Non pensa che l’Italia sia solo relativamente al sicuro? Cosa succederà se la crisi dilaga in Algeria, Egitto e Medio Oriente?

«A quel punto i problemi non li avremo solo noi. Da anni dico che Nord Africa e Medio Oriente sono una polveriera: popoli giovani, in crescita e affamati. Questa è una guerra del pane, non una rivoluzione democratica. Finirà solo dando il pane, con o senza i Mubarak e i Gheddafi».
Sicurezza, indipendenza, prezzi tollerabili. Come si quadra il cerchio?
«Primo, il nucleare. Allora Craxi mi impediva di dirlo, ma già lo pensavo. Poi, quanto al gas, più concorrenza nell’importazione, che oggi è un quasi monopolio Eni».