di OLIVIA POSANI
— ROMA —

DALL’EMERGENZA umanitaria, a quella economica. L’incubo Libia non dà tregua. Il problema numero uno è capire per quanto tempo il prezzo del greggio rimarrà così elevato. E’ vero che l’Arabia saudita ha iniziato a pompare a tutto spiano (ha aumentato la produzione di 700 mila barili al giorno) e si dice perfettamente in grado di sostituire quel 4% di petrolio mondiale che potrebbe mancare all’appello se Libia e Algeria smettessero l’erogazione. I ribelli nel frattempo stanno comunque mettendo in sicurezza i pozzi Però, secondo gli esperti, i sauditi sono in grado di surrogare gli approvvigionamenti solo per qualche mese. Non solo, nonostante il loro intervento, tutti concordano sul fatto che il prezzo del petrolio continuerà a restare alto a lungo. E questo, spiegano, potrebbe innescare una nuova crisi mondiale.

IL CARO
greggio si traduce infatti immediatamente in un incremento dei costi di produzione e si scarica peggio di una supertassa sui cittadini, visto che fa aumentare il prezzo delle merci deprimendo ulteriormente i consumi. Ragionamento che vale soprattutto per l’Italia dove il trasporto delle merci avviene in buona parte su gomma. L’Eni ha aumentato in un colpo solo il prezzo della benzina di 2 centesimi al litro e di 1,5 quello del gasolio. La Cgia di Mestre ha calcolato che un pieno di gasolio da 500 litri per un tir è rincarato di 127 euro in un anno. E visto che, oltre al petrolio, sono aumentati i prezzi di molti generi alimentari, comincia a concretizzarsi anche il pericolo di una fiammata dell’inflazione.
Non è un caso che ieri Mario Draghi, in una intervista alla Bbc, abbia spiegato che «in tutto il mondo i banchieri centrali stanno cercando di capire se gli attuali picchi del petrolio avranno effetti permanenti sull’inflazione o se si tratta solo di uno choc una tantum». David Fyfe, responsabile della divisione industria dell’Aie (l’agenzia internazionale per l’energia) si concentra sui tempi del caro petrolio: «Siamo molto preoccupati per l’effetto che i prezzi potranno avere se resteranno a lungo a questo livello». Un livello che in effetti è molto alto. Il Brent (l’unità di misura standard cui facciamo riferimento) in mattinata ha sfiorato i 120 dollari per poi attestarsi (grazie alle assicurazioni dei sauditi) a quota 111, comunque un dollaro in più del giorno precedente. Certo, siamo ancora lontani dai 147 dollari toccati nel 2008, quando esplose la crisi finanziaria. Ma il problema di allora non fu tanto quel picco, quanto il fatto che il prezzo medio annuo fu di 99,67 dollari, cioè troppo alto.


MOLTO PREOCCUPATA
è Confindustria: se il prezzo del barile arriverà a 120 dollari, il costo per le imprese sarà di un 900 mila euro. Anna Maria Artoni, (presidente degli industriali di Bologna) non si sbilancia, ma non nasconde che «c’è preoccupazione per l’aumento delle materie prime: dobbiamo ancora capire quali sono le conseguenze economiche». Quelle sulle tasche dei cittadini italiani le hanno calcolate le associazioni dei consumatori: 210 euro in più a famiglia: 90 per i rifornimenti di carburante, 120 per i costi indiretti, come bollette e mezzi di trasporto. Di sicuro aumenteranno i biglietti aerei, mentre su quelli ferroviari, giura l’amministratore delegato Moretti, «per ora non ci sarà alcun impatto».